Ladri in casa di Doria madre e di Giovanni Berneschi: il contrappasso di Genova

Il sindaco di Genova Marco Doria

GENOVA – Due strade riservate della buona borghesia genovese, palazzi quasi lussuosi, abitanti altolocati, il silenzio rarefatto dei quartieri residenziali, dove i passanti sono pochi, spesso anziani scortati da badanti, carrozzelle spinte sui marciapiedi sconnessi di una città in strisciante abbandono.

Succede che in questo scenario di inizio estate, i “soliti ignoti”, ma in un caso dei due forse qualcosa di più della classica banda del buco”, vadano all’assalto niente meno che delle residenze della madre del sindaco Marco Doria, la marchesa moglie del leggendario Giorgio Doria, una signora novantenne e della dimora di suo figlio Giuliano, fratello del sindaco-marchese, che governa Genova da due anni e due mesi. E che, in modo molto più sospetto, i malviventi cerchino di entrare nella casa del detenuto più eccellente di oggi nel cataclisma giudiziario genovese, l’ex presidente della Carige, Giovanni Alberto Berneschi, detenuto nel carcere di Pontedecino da tre settimane, accusato di reati sempre più gravi e al quale la magistratura, proprio in queste ore, ha sequestrato insieme a sei suoi coimputati, la modica cifra di 26 milioni di euro in beni personali, in conti bancari, titoli, immobili, eccetera eccetera.

Il primo colpo va a segno in casa Doria, lussuoso quartiere di Albaro, la Hollywood genovese, quartiere di Levante della città, lontano dal porto, dalle fabbriche, vicino al Lungomare di Corso Italia, la promenade genovese. E’ un’operazione sofisticata, non uno scasso violento, realizzata sfruttando la temporanea assenza della nobildonna novantenne, ma assolutamente autosufficiente e in gamba, che vive nello stesso stabile dell’altro figlio, Giuliano, fratello del sindaco.

La banda avvicina la signora sul marciapiede del palazzo di residenza, con un componente che si spaccia per ispettore dell’Amiu, l’azienda della nettezza urbana, tutta impegnata di questi tempi a spingere la popolazione nella raccolta differenziata. Genova sta soffocando sotto la montagna di rumenta della discarica di Scarpino, una immane catasta di rifiuti che non ha più permessi per ricevere i camion che da tutta la Liguria vi scaricano la monnezza non solo di Genova, ma di mezza Liguria.

Ne sa qualcosa dell’emergenza rumenta proprio il sindaco Doria, figlio dell’ignara signora, avvicinata vicino al suo portone. “Sono un ispettore dell’Amiu signora – dice il malfattore, abbordando la nobildonna senza probabilmente sapere chi sia – distribuisco i sacchetti per la differenziata, mi fa controllare la sua disposizione in casa? “

Ligia al suo senso civico, la signora Doria non tentenna e fa entrare in casa il falso ispettore, che non a caso è seguito da un complice, il quale si ferma sul pianerottolo – come racconta con dovizia di particolari la cronaca de Il Secolo XIX”.

Mentre il truffatore entra e esamina con grande solerzia la disposizione dei sacchetti della “differenziata”, il complice si intrufola e punta subito la camera da letto, dalla quale esce con sottobraccio un quadro di valore, senza farsi vedere dalla padrona di casa, impegnata a mostrare il reparto rumenta al suo complice. Solo un bel quadro, magari del Seicento.

Il colpo così sarebbe troppo facile e infatti c’è la fase due. La signora esce di casa con il falso netturbino e chi si trova davanti nel fatidico pianerottolo? Il complice, rapidamente travestito da vigile urbano con tanto di visiera, che ha sottobraccio il quadro appena rubato, che la signora ovviamente riconosce con grande sorpresa. “Stiamo scoprendo una serie di furti appena avvenuti nel palazzo “- dichiara il finto vigile alla signora Doria e al finto netturbino complice.

“Ci fa controllare meglio?”- chiede alla donna, che molto colpita non solo accondiscende all’ispezione, ma svela come nel palazzo ci sia anche l’appartamento del figlio. “Avranno svaligiato anche lui? “ – domanda la signora Doria, al duetto di lestofanti, cui non pare vero la così facile opportunità.

In un colpo solo, ora con le chiavi del secondo appartamento direttamente consegnate dalla padrona di casa, svaligiano anche il secondo appartamento, dopo avere ripulito il primo “per controllarlo”, mentre uno dei due continua a tenere a bada la signora, evidentemente choccata.

In poco tempo i malviventi hanno svuotato due appartamenti, senza sapere che avevano colpito la casa della madre del sindaco e quella di suo fratello.

Il tutto salterà fuori quando i derubati andranno in Questura a svelare come la banda di truffatori li ha abilmente colpiti e come sia stata complicata la giornata appena trascorsa.

Il secondo colpo è molto più oscuro e ha contorni completamente diversi: intanto non è andato a segno, perchè la moglie di Berneschi ha segnalato subito il tentativo di effrazione ai danni dell’appartamento di via Felice Romani 1 nel quale vive con il marito.

Il tentato colpo è stato effettuato a poche ora dal momento in cui l’illustre detenuto era uscito dal regime di isolamento nel quale l’autorità giudiziaria lo aveva rinchiuso dopo che era stata presa la decisione di trasformare i suoi arresti domiciliari in una detenzione vera e propria. Berneschi era stato “intercettato” proprio mentre cercava di comunicare all’esterno manovre da compiere sui suoi conti correnti, violando le regole ferree dei domiciliari, che vietano qualsiasi contatto con l’esterno.

La dritta di assaltare l’appartamento dell’ex presidente di Carige potrebbe essere stata suggerita da Radio carcere, dopo che Berneschi aveva incominciato a avere rapporti con gli altri detenuti di Pontedecimo. Il noto banchiere era stato visto nelle ore di aria interloquire in modo molto sciolto con gli altri prigionieri. Gli inquirenti suppongono che la notizia dell’interesse per l’appartamento di Berneschi, in quel vortice di milioni di euro, raccontati da quando è incominciato il maxiprocesso all’ex Doge di Genova, possa avere fatto scattare “la banda del buco”.

Cosa di più facile di un appartamento mezzo indifeso, prima che il presidente vi faccia ritorno, dopo la trasformazione del carcere in arresti domiciliari, dove abita solo la sua signora, in un clima di rapporti famigliari tesissimo, come testimoniano i giornali quotidianamente: il figlio di Berneschi, Alberto scatenato contro il padre, la nuova Vera Amisano tutt’ora detenuta e anzi con la richiesta di attenuazione delle misure cautelari a suo carico respinta di recente, con la moglie del “capo” in evidente confusione, dopo avere indirettamente provocato gli arresti a suo marito e la detenzione in un carcere vero e non più nelle pareti domestiche.

Ma questa ipotesi del classico furto nella casa di un illustre detenuto è perfino la più tranquillizzante, rispetto a altre teorie secondo le quali il tentativo di effrazione potrebbe essere partito per ragioni molto più “segrete”. Qualcuno potrebbe voler mettere mano sui dossier che Giovanni Berneschi magari custodisce a casa sua. L’intrigo delle accuse nei suoi confronti, ora che il suo ruolo si è completamente capovolto in città – da Doge onnipotente a inquisito numero uno della ex banca Cassaforte, coinvolge la città dei potenti, il sistema imprenditoriale e finanziario e tutti i meccanismi dello sbraccio finanziario genovese e ligure dell’ultimo quindicennio.

Non solo: Berneschi conosce bene che cosa c’è dietro gli scandali ancora inesplosi, come quello dell’affaire Fondazione-Carige Ior, che – come ha raccontato Blitz – egli stesso ha raccontato, sotto il vincolo della confessione sacramentale, al cardinale di Genova Angelo Bagnasco.

E se qualche traccia ci fosse tra le sue carte e se oltre a quel dossier ve ne fossero altri che dimostrano come il vecchio presidente aveva ancora in mano, malgrado la sua caduta rovinosa dal quattordicesimo piano del suo potere assoluto nel grattacielo sede della Carige, fosse in grado di pilotare l’operazione di salvataggio, giocando un ruolo nell’aumento di capitale che sta andando a segno in questi giorni?

Tutte ipotesi complicate e teoriche: l’operazione Carige, condotta dal nuovo managment della banca, sotto la presidenza molto diplomatica di Cesare Castelbarco Albani, il principe, della vice presidenza di Alessandro Repetto, l’ex presidente della Provincia, ed direttore centrale di Carige, nemico numero uno di Berneschi quando coabitavano in banca come dirigenti-dipendenti, sta andando in porto con sottoscrizioni dei soci di partenza e nuovi arrivi.

Ma la regia dell’ex leader non c’è più e non ci potrebbe essere, perchè il suo due per cento di partecipazione al capitale (che unito ad altri soci di minoranza formava il sei per cento del cosiddetto gruppo dei “pattisti”), non poteva essere rimpinguato o controfirmato, dopo l’esplosione dello scandalo.

I due gialli contro le case di famiglia del primo cittadino di Genova, Marco Doria e contro quella dell’inquisito numero uno della città e della Liguria, Giovanni Berneschi, quando in carcere o ai domiciliari ci sono ancora personaggi come Claudio Scajola l’ex ministro e Gigi Grillo l’ex senatore di Forza Italia e Pdl, l’uomo-banca della Destra berlusconiana, come Sergio Catozzo, il post sindacalista, coordinatore Udc, sono, quindi, solo segnali di malessere, in una città in crisi profonda che contempla l’inabissamento della sua classe dirigente.

Doria, il marchese-sindaco, risulta per via materna solo la vittima di una truffa a misura di anziano, che colpisce oramai strutturalmente la popolazione della città più vecchia del mondo. I suoi guai di sindaco sono oggi ben altri con un Pd che lo sopporta a stento, dopo esserne stato sconfitto nelle famose primarie di quasi tre anni fa, che decretarono la fine della sindaco precedente, Marta Vincenzi e la debacle dell’altra zarina genovese, l’attuale ministro della Difesa Roberta Pinotti. Doria, indipendente Sel, le superò ambedue, separandone anche in modo drastico i destini. La Vincenzi, proprio nel giorno del furto-truffa in casa Doria, è stata rinviata a giudizio per concorso in omicisio colposo per la morte di sei persone, di cui quattro bambini, nella terribile alluvione di Genova del novembre 2011.

Una accusa enorme e probabilmente sproporzionata alle responsabilità della signora sindaco del Pd, la quale non aveva fatto chiudere le scuole e le strade, mentre una bomba d’acqua stava abbattendosi sulla città. La Pinotti, invece, dopo quel flop nelle Primarie per diventare sindaco, è stata rieletta senatrice nelle elezioni del 2013 e ora è ministro della Difesa nel Governo Renzi. Qualcuno ha addirittura vaticinato in modo un po’ fantasioso che potrebbe essere lei la prossima presidente della Repubblica, dopo Napolitano: pesano molto i buoni rapporti tra la Difesa e il Quirinale. E poi si tratta di una signora, quindi di una quota rosa…… Insomma da una Primaria perduta possono scaturire sciagure, ma anche grandi fortune politiche.

Il caso Berneschi e i misteri della maxi-inchiesta intorno alla banca-cassaforte della Liguria, con i sequestri e la cupola che avrebbe governato, secondo la Procura genovese, un vero e proprio malaffare, intessuto tra i vertici della Carige e le compagnia di assicurazioni che nel 1991 l’istituto di credito genovese, allora Cassa di Risparmio di Genova e Imperia acquistò, riguarda molto da vicino la pancia della città e le condizioni della sua economia, tarlata oramai da un declino vertiginoso, come testimoniano tutti i parametri macro economici, sfornati da Banca d’Italia e da altri uffici studi di rilevanza nazionale.

La società ligure non è più neppure allo stato liquido, non corrisponde alle intuizioni del grande filosofo tedesco Zigmunt Baumann, ma forse è già allo stato gassoso e sta evaporando.

In attesa dei crak derivati non dai titoli infetti nella pancia della banca e delle società e degli enti locali, ma innescati dalla catena di sconquassi bancari della politica di crediti facili, concessi dalla gestione Berneschi a armatori, imprenditori, perfino veri e propri malfattori come il boss del Ponente ligure, costruttore edile Antonio Nucera, oggi in esilio a Dubai, l’unico spiraglio per questa economia in default è la rottamazione della Concordia Carnival, del suo relitto diventato d’oro.

L’attesa e sempre rinviata operazione di demolizione nel porto di Genova diventa il simbolo potentissimo del futuro genovese e ligure. Si vorrebbe rottamare la supernave nel luogo dove è stata costruita e varata, magari suonando anche le sirene per l’esultanza dell’operazione che porta lavoro e competenza, ma anche il sigillo di un’epoca storica.

Una volta dalla Superba dei doge-ammiragli, come Andrea Doria, antenato(per via molto indiretta) dell’attuale sindaco Marco le navi e i bastimenti si inventavano e si lanciavano per il mondo e su quelle barche si scoprivano anche i nuovi mondi, grazie all’arte appresa a Genova. E oggi i truffatori hanno campo libero e possono trafugare i beni della famiglia che ha cotanta storia sulle spalle.

Una volta i banchieri della Superba, inventavano il tasso di sconto e finanziavano le guerre dei potenti della terra come Carlo V.

Oggi nella città sbancata – mai definizione è stata più azzeccata – la sua banca finanzia i falliti o i malversatori. E il doge capo di quella banca sta in galera con gli altri galeotti, che magari tentano di far scoprire i segreti del malaffare, assaltando la sua casa e fregandolo. Che micidiale legge del contrappasso per los zeneises!

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Alberto Francavilla