E’ ovvio, allora che a Destra risponda uno squillo, quello di un ceto medio-alto borghese e anche più popolare che non accetta la vittoria del burlandismo e, quindi, della Paita, non vi riconosce la genetica del Pd, il partito nuovo che doveva crescere, aprendosi all’esterno, incamerando i “pezzi” della società civile, trasformando la politica con quella inclusione della quale proprio Burlando era apparso, in origine, il primo interprete. Hanno incamerato spezzoni della Destra, non pezzi di società civile, hanno messo insieme gli immigrati disperati, non quelli che l’etica dem vuole proteggere e includere appunto, hanno chiesto il misero pizzo di due, tre quattro, cinque euro per quei voti che vanno nell’urna di Raffaella Paita, cosciente o meno dell’intrallazzo, a Albenga, quel paesone del Ponente, in fondo alla pianura, agricolo e turistico, dal centro storico affascinate e lei ha preso 1250 voti dei 1450 espressi alle Primarie.
Come si spiega, se non con una inclusione un po’ diversa da quella immaginata all’alba del Pd ed anche da quella da larghe intese con cui vengono certificate le aperture a Alessio Saso, del Nuovo Centro Destra, lo “scambista” di voti, indagato dalle Procure? A Franco Orsi, il senatore ex Fi, il più bravo di tutti, tradito dai suoi e trasformato in angelo vendicatore per lo schiaffo subito di non essere stato più messo nelle liste dei nominati da Berlusconi, solo perchè era schierato con Claudio Scajola.
Troppi tradimenti, troppe delusioni all’ombra del burlandismo, che occupa la Liguria da tempo immemorabile e che questa ragazza di la Spezia trasforma nella sua perpetuazione per il tempo futuro, oltre a SuperClaudio e la sua infinita carriera di partito e di istituzioni, segretario di sezione Pci, segretario provinciale Pci, poi Pds, sindaco Pds, poi deputato Pds, poi responsabile enti locali Pds, poi Ministro dei Trasporti Ds, poi responsabile economia nazionale dei Ds, poi governatore della Liguria per i Ds e poi del Pd, poi…Nel decimo mistero glorioso del santo Rosario si contempla ancora Burlando al potere…
Così lo squillo a Destra parte anche da trombe che avevano suonato per il Pd, che si erano illuse e che ora non ne possono più e sono disposte a tornare indietro e sopratutto a andare in soccorso alla Destra Doc stessa, imbesughita dalle sconfitte liguri, tradita dai suoi stessi figli, vedova di Scajola e di Gigi Grillo, i potenti caduti in disgrazia, impallinati dalle Procure e dalle cricche “ a sua insaputa”.
Ma la Destra ha poca merce da offrire, non trova da anni candidati validi dopo il tramonto repentino di Enrico Musso, l’ex senatore, che per primo lasciò Berlusconi, ma che dopo ha vagolato dai gruppi misti ai liberali-democratici, ai gianniniani, alla sua fondazione Oltremare. E neppure oggi sforna un nome che possa contrastare la Paita a maggio. Sforna terne e quaterne di possibili contendenti, tutti diversi, tutti rispettabili, ma senza il famoso quid, il costruttore Ferdinando Garaventa, perfino uno dei Costa, l’epica famiglia imprenditoriale della “C” sui fumaioli, Enrico, agente marittimo, figlio della leggendaria Bianca Costa, la “madre della solidarietà”, Alessandro Cavo, un giovane e pimpante commerciante del centro storico, financo, la star televisiva del G8 nel 2001, Ilaria Cavo, oggi inviata di Mediaset.
Si arrende quasi, questa Destra, alla prorompente Lega che ha messo subito in campo Edoardo Rixi, un trentanovenne consigliere comunale e regionale, vice segretario nazionale di Salvini, pimpante e lui si con il quid, ma a chi tocca la Liguria, dopo che in Emilia Romagna il candidato del centro destra è stato “verde”?
Rixi si è lanciato cercando di sfruttare i furori a sinistra, ma un vertice entro domenica tra Berlusconi, Giorgia Meloni di “Fratelli d’Italia” e lo stesso Salvini dovrebbe sancire che la Liguria tocca agli altri.
E così, in questo deserto di candidature forti, dopo che il coordinatore regionale di Forza Italia, Sandro Biasotti, ex presidente regionale tra il 2000 e il 2005, sconfitto nel 2005 e nel 2010 da Burlando, ha esaurito i petali della margherita, chiedendo invano di candidarsi o mandando richieste indirette anche a illustri figure, come l’ex preside di ingegneria Paola Girdinio, consigliera d’amministrazione dell’Enel e del Rina o come l’imprenditorissimo, presidente di Federacciai, amministatore delegato di Duferco, Tonino Gozzi, dopo tanti “no” lo squillo arriva da altre valli rispetto a quelle dove si è rifugiata la Destra.
Si pensa a una lista civica indipendente, che poi, magari, chieda gli appoggi a quel che resta dei partiti e che scovi nell’ urna, ancora una volta manzoniana, uomini di buona volontà, civil servant disposti a sacrificarsi. Lo hanno chiesto a Stefano Zara, ex presidente di Assindustria, fondatore del Pd e uno dei più delusi dalle Primarie, che ha detto un no grosso come una casa, lo chiederanno, magari, a Giuseppe Pericu, il sindaco migliore degli ultimi lustri a Genova, anche lui fondatore del Pd ligure che aveva già dato una disponibilità “ a patti che non ci fossero le Primarie di mezzo”. Ma era una situazione diversa, perchè ora si tratterebbe di correre contro la vincitrice assoluta, lanciata dai 54 mila voti, per quanto un po’ inquinati e sub judice e questo non è nello stile lealista di Pericu, considerato ancora un uomo tutto d’un pezzo, non solo in piena forma malgrado le 76 primavere.
S’ode a destra uno squillo di tromba e a sinistra risponde uno squillo e la febbre sale ancora, ma non sarà per molto, perché tra venerdì e domenica le commissioni di garanzia e i vertici dei big decidono e i candidati partono. Hanno tempo fino al 17 maggio per scavalcare le macerie delle Primarie e quelle più ingombranti da scavalcare di un disgusto per la politica, una lontananza che presagisce già un 60 per cento circa di astensioni
Con le Primarie forse è caduta, dopo secoli e secoli, la Repubblica di Genova, conquistata da una ragazza spezzina, si rompe una egemonia perché Paita, il suo consorte Luigi Merlo presidente del porto di Genova e Andrea Orlando, il Guardasigilli di Renzi sono tutti di quella città che molti continuano a considerare “diversamente ligure” e che Genova spesso ignorava o temeva solo come concorrente portuale.
