Renzo Piano, il Mosè di Genova e il Mar Rosso

il salone nautico a Genova (Lapresse)

GENOVA – Renzo Piano cambierà il volto di un pezzo della costa genovese tra il porto antico e la Fiera del Mare. Il grande progetto gli è stato chiesto dal sindaco della città Marco Doria, dal presidente dell’Autorità Portuale Luigi Merlo e dal presidente della Regione Claudio Burlando. Piano ha già disegnato un canale d’acqua di cinque chilometri, largo quaranta metri, che collegherà le Mure del Malapaga nerl centro storico con l’area della Fiera. I tempi di realizzazione sono dieci anni, il costo preventivato è intorno ai 170 milioni di euro. E’ prevista anche una grande passeggiata, che unirà i quartieri di Genova al bordo del canale, ponti, darsene e padiglioni sull’acqua coperti. Al posto del vecchio grande posteggio del Salone Nautico è stato progettato un parco verde e una grande spiaggia, proprio alla Foce del Bisagno.

Ora può sembrare proprio che Renzo Piano, il superarchitetto genovese che non ama farsi chiamare archistar, anzi preferisce il titolo di geometra, che è tra i cento personaggi al mondo più conosciuti (secondo Forbes anno 2013), sia una specie di Mosè per Genova.

Come Mosè potrebbe condurre il suo popolo dei genovesi attraverso il Mar Rosso che alzerebbe le sue onde per farlo passare all’altra sponda e scampare i pericoli del Faraone cattivo.

Le analogie ci sono tutte, come si potrà vedere e le ultime notizie dell’ultima richiesta rivolta al grande architetto di disegnare un pezzo di Genova sul mare, saldando il porto antico della Expò colombiana con la zona della Fiera del Mare attraverso un canale subito battezzato “Canale Piano”, dipingono la barba del suddetto superarchitetto del colore di quella biblica dell’uomo che salvò il popolo e ricevette le tavole dei Dieci Comandamenti sulla cima del monte Athos: Non avrai altro Dio fuori di me…… Non avrai altro Piano oltre a me…..

Mosè era l’unica risorsa del suo popolo perseguitato e in fuga, chi se non lui poteva salvarli? Negli ultimi trent’anni, quando Genova deve affrontare una emergenza o un grande problema del suo territorio strangolato, a chi si rivolge se non al suo figlio più noto, alla sua risorsa numero uno in faccia al mondo, se non a Piano?

Gli fece realizzare l’Expò ’92 per celebrare i Cinquecento anni della Scoperta dell’America da parte di Cristoforo Colombo e lui lo fece con un’opera urbanistica che ha segnato per sempre le vecchie banchine genovesi e i dintorni del centro storico. Gli chiesero, quando Genova stava crollando sotto i colpi della crisi postindustriale e il porto sembrava inghiottito dalle storiche liti tra famiglia oggi chiamate lobbyes contrapposte, di disegnaree la nuova linea della costa con il famoso Affresco, che sistemava le banchine, l’areoporto, gli stabilimenti industriali delle Riparazioni Navali, perfino le spiagge del Ponente e il porto dei pescatori, e lui lo fece, ma quelle terribile lotte intestine dei genovesi, peggiori, anche se non così sanguinose, dei tempi di Doria e Fieschi, impedirono, nella metà del primo decennio del nuovo millennio che l’opera si compisse.

E i genovesi inchiodarono quei disegni nelle bacheche del Museo del Mare, un bel progetto e nulla più, se non una coda di veleni, odi e perfino processi contro chi quel disegno aveva sostenuto, il presidente del porto dell’epoca, Giovanni Novi, i suoi amici e perfino il sindaco, che più lo spingeva, Giuseppe Pericu, anche lui chiamato in qualche modo a pagare un fio. Uscirono tutti assolti senza macchie, ma si persero gli anni buoni e sopratutto il disegno di Mosè-Piano.

Gli chiesero, a Mosè-Piano, di disegnare il grande progetto degli Erzelli, la collina sopra il Ponente genovese, sulla qule suo padre aveva una fiorente azienda di costruzioni e dove Piano scopri il cielo più bello di Genova, quello che ha la luce più luminosa, perchè la prende dal soffio incessante dei venti di tramontana o di scrirocco o di libeccio, che spazzano il grande arcobaleno ligure nel suo epicentro ombelicale, alle spalle del porto, o meglio, sulle spalle del porto, anche sopra i grandi stabilimenti industriali che deturparono le spiagge e il mare, in tempi nei quali c’erano altri Profeti e altri Mosè.

Quando scoprì che quel nuovo quartiere pensato per ospitare tra grattacieli arditi, parchi verdi, laboratori sofisticati, anche una possibile speculazione edilizia che “validasse” finanziariamente l’operazione, Mosè si ritrasse, non si sa se scagliando il suo bastone di comando e la sua firma sparì dal progetto, che tutt’ora non è decollato verso il suo destino di riscattare una tradizione industriale, di ricerca di contatto tra ricerca, produzione, futuro insomma. E galleggia quel progetto sulle onde del Mar Rosso in tempesta, forse cola a picco, forse lo salvano i milanesi, chissà…..

E oggi che il Mar Rosso è più tempestoso che mai i maggiorenti della città, uno dei quali si chiama Doria ed è erede del grande Andrea Doria, da cui discende per trentacinque generazioni e in linea non diretta, ma storicamente significativa, vanno a chiedere a Mosè di salvarli.

Con il discendente dell’ammiraglio-Doge ci sono Claudio Burlando, il governatore della Regione, che sta finendo il suo doppio mandato e la sua lunga carriera di poliutico-amministratore e spera nell’ultimo colpo di meritarsi una bella uscita di scena e il presidente dell’Autorità Portuale, lo spezzino Luigi Merlo, che spera di passare alla storia non come il gestore di un porto impaurito dalle precedenti inchieste giudiziarie, ma come chi ha veramente pensato al futuro millenario di queste banchine.

La prima analogia sta proprio in quel Mare Rosso. Il rosso del default che sta inseguendo la città che fu Superba, i suoi bilanci finanziari, i suoi conti nella moneta che fu, nel quindicesimo e sedicesimo secolo, il segno della sua potenza mondiale, ma non solo quello.

Il Mare di Genova è rosso per i deficit, che potrebbero portare al crak dell’Amt, l’azienda di trasporto comunale, mettendo a piedi i genovesi, altro che attraversare un mare a piedi! Il Mare di Genova è rosso perchè potrebbe fallire il teatro dell’Opera Carlo Felice, ricostruito con una magniloquenza indecente, mentre Mosè-Piano rifaceva il porto antico negli anni Novanta e il cui bilancio non regge più con un buco di 9 milioni di euro. A Roma licenziano centinaia di orchestrali e il maestro Muti se ne va, l’Opera non ce la fa più.

A Genova l’Opera e il suo grande teatro post moderno costruito da Gardella-Rossi è un catafalco in mezzo alla città, che riaprì solo perchè l’ultimo dei mecenati genovesi di una lunga tradizione, l’ex petroliere Riccardo Garrone, ne finanziò i costi di apertura e lo sponsorizzò per anni, ma dopo quei soldi il Teatro, non più Felice, ha solo pompato risorse pubbliche e ora il grande secco della Finanza pubblica e privata rende insopportabile le sue fantastiche strutture postmoderne, i macchinari da scena tanto belli quanto spesso mai usati e sopratutto i costi di una orchestra tanto nobile e storica quanto sproporzionata ai tempi, all’indotto, alle dimensioni nella città dimagrita, invecchiata, scollegata.

Il Mare di Genova è rosso per la fine verticale dell’odissea industriale con gli operai dell’ex Italsider e oggi Ilva, la grande fabbrica dell’acciaio che costruiì il boom degli eletttodomestici, della automobile, delle bande stagnate per ogni contenuto, che l’accordo sindacale dei primi di ottobre a Roma dirotta nel numero di alcune centinaia a pulire i cimiteri e i parchi pubblici perchè il forno a caldo è spento dal 2005 e quello a freddo dell’industrialo Riva e oggi dei commissari post Ilva e post scandali devastanti da Taranto in su, non ha più materiale da lavorare.

Il Mare di Genova è rosso perchè una classe politica dirigente da trent’anni senza alcuna alternanza politica, condanna a governare con multiformi alleanze di sinistra onni-comprensive, non è stata capace di connetterla al resto dell’Italia e del mondo, relegandolo a uno splendito isolamento, senza Alta velocità, con un aereoporto con voli da Paperino e Paperoga, con un nodo ferroviario e uno autostradale strangolati da se stessi per l’inconcludenza di ogni decisione, con una metropolitana che, in quei trenta anni di Mosè, è riuscita a coprire circa nove chilometri di binari, opera kolossal, cui si sono prestati ben otto sindaci, un chilometro a sindaco……..

Basta una frana sulla linea a binario unico ferroviario del Ponente e la Liguria è segata in due: non sono riusciti a raddoppiarla quella linea che collega con la Francia e sembra un binario da Far West, solo che in fondo non c’è neppure uno sceriffo che aspetta con la stella sul petto. Ci sono comuni chiusi e riaperti per le ingerenze mafiose, leader sepolti agli arresti domiciliari come Claudio Scajola, chiuso nel suo giardino di Imperia da sei mesi domiciliari….. quando aveva avuto in mano le chiavi del futuro non solo ligure e imperiese.

Il mare di Genova è Rosso, perchè un parallelo destino di accoglienza turistica e di nuova città d’arte non è riuscito a svilupparsi come si poteva, anche se la famosa “città dei camerieri”, temuta nelle roccaforti rosse della ex classe operaia del fu Pci e dei suoi discendenti, sì è alla fine imposta con un’altra nomenclatura, appunto meno classista ed ora l’Acquario della Costa Edutainement, l’Expò e altre attrazioni, tra cui l’isola felice di Palazzo Ducale, calamitano, non gli eserciti di Roma, Venezia, Napoli e Firenze, ma almeno qualche plotone di turisti.

Insomma questo Mar Rosso in tempesta bisogna attraversarlo, prima che le onde di un vero tsunami travolgano tutto e allora ecco che si ricorre a Renzo Piano, il Mosè che non dice mai di no, perchè ha qua le sue radici, perchè il mare è il suo grembo materno, perchè è diventato grazie a Giorgio Napolitano anche senatore a vita e perchè la sua matita è fisiologicamente attratta a disegnare la sua città a correggere e esaltare quelle prerogative, che stanno nella pancia della città stessa, ma anche in quella di Mosè, ogni volta che rimbalzando per il mondo, dove è ancora a settantasette anni di età, uno dei professionisti più richiesti torna a Zena e riceve, magnanimo più di Mosè, le delegazioni dei potentati locali che salgono nel suo paradisiaco ufficio sulle alture di Vesima, là in fondo a Genova.

Oggi Doria, Burlando e Merlo gli hanno chiesto di attr5aversare il mar Rosso con un progetto forse più facile del mitico Affresco o dell’Expò 92 e anche di Erzelli: collegare il cuore del vecchio porto con la Genova di Levante. Sdoganare un pezzo di città che ha sempre vissuto un mix spurio di industria navale, turismo, perfino grandi uffici dell’Ansaldo nucleare e ombelicali attività sportive, tra le quali la mitica sede dello Yacht Club italiano, il più antico e snob d’Italia, con le sue barche e i suoi leggendari saloni. Un’operazione di cerniera che può riscattare molto del tempo moderno perduto in incertezze, fallimenti, scandali, incapacità, perchè finalmente un segno forte su un terreno urbano che si è riempito per tre decenni solo di visioni oniriche, di progetti da mille convegni, dibattiti sterminati e neppure una pietra su una pietra, tunnel sottomarini, ponti alla san Francisco, gronde e bretelle ferroviarie, nuovi stadi calcistici a ogni angolo della città, funivie, seggiovie, sopraelevate, perfino grandi disegni di risistemazione post industriale di personaggi come Giovanni Gambardella, l’ultimo amministratore di Finsider o ancora Riccardo Garrone, chiamati Utopia o Viva Genova e mai approdati a nulla….

In silenzio Piano ha lavorato per tre mesi ed ora propone alla città un progetto lungo come un canale di quattro o cinque chilometri, che sarà largo non più di quaranta metri e porterà l’acqua dove non c’era e avvolgerà le ex fabbriche, le ex darsene perfine i pezzi della Fiera del mare, come il vecchio Palasport, dove si esaltavano i concerti dei Beatles anni Sessanta e segnerà un collegamento tra due pezzi di città, scorrendo sotto un quartiere borghese come quello di Carignano. Un progetto da 160-170 milioni di euro da realizzare in una decina di anni, ma Mosè che di anni ne ha settantasette ha chiesto entro quattro anni di “vedere già qualcosa” ai maggiorenti che sono arrivati con la supplica e li ha quasi minacciati: “Mi raccomando…..guai se non incominciate subito”.

Il disegno con il quale Piano ha intrapreso la sua ultima traversata genovese ha molto seguito, perchè la disperazione del mar Rosso scatenato sta piegano la città, anche se i critici si sono già mossi a partire dal vicesindaco di Doria, Bernini, un vecchio leone della politica locale.

Quelli dell’establishmen mezzo imbalsamato della città, che avevano affondato il primo Affresco ora applaudono, come i Riparatori Navali, i cantieri storici come Mariotti e San Giorgio.

Fedele alla sua Bibbia di architetto, Piano ha immaginato di “togliere” più che di mettere. Significa che tra le Mure di Malapaga, a ridosso del vecchio porto antico e la foce del fiume Bisagno, i confini del progetto ci saranno più demolizioni che costruzioni, più scavi intorno al canale che cubature di cemento nuovo. Ci sarà anche un grande parco e una maxi spiaggia, dove si posteggiavano le migliaia di automobili del Salone Nautico, giunto in questi giorni alla sua cinquantaquattresima edizione, un altro grandeur che la Superba ha sepolto nel suo declino.

Un sogno o veramente un progetto a cui aggrapparsi per non morire, come capitò al popolo di Mosè?

Il problema dei finanziamenti è affidato inizialmente alla iniziativa della Regione, che dirotterà i primi milioni per incominciare gli sbancamenti, sottraendoli a non si capisce cosa, visto il buco della Sanità e visto il patatrac regionale. Si punta sugli investiimenti dei privati: possono credere in una riscossa globale dell’immagine di una città che come nel 1992 del Colombo riscommette sui se stessa.

Ma questa volta l’asso nella manica non è Colombo ma Mosè-Piano, il suo credito, il suo appeal e il fatto che se non lo fa attraversare lui il mar Rosso in tempesta sollevando le onde, la Superba non avrà più scampo.

Il galeone di Marco Doria farebbe una fine che i suoi antenati bollerebbero a palle incatenate, il governatorato di Burlando finirebbe nel ludibrio di un grande fallimento politico, senza eredi e nessun segno di sviluppo e l’Autorità Portuale di Lugi Merlo consegnerebbe il grande porto, ex leader del Mediterraneo, a un declino per soffocamento. Ma attenzione: alla fine Mosè ricevette i dieci comandamenti e li impose al suo popolo che si impegnò a rispettarli uno a uno. Saranno capace i genovesi di obbedire a Mosè e di allearsi veramente tra di loro?

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Alessandro Avico