Scajola: la casa di Roma con vista sul Colosseo? “Congiura Usa”. “Ora penso alla Patria”

Questa intervista all’ex ministro Claudio Scajola è stata fatta e scritta da Franco Manzitti a fine 2010. Blitz la propone oggi, dopo la chiusura delle indagini di Perugia.

Claudio Scajola arriva con un impermeabile corto blu, un golf dello stesso colore con la zip, la cravatta intonata scura e la camicia a righe, un po’ più in carne delle sue ultime comparse pubbliche. Un po’ invecchiato, anche se il volto è sereno, l’aria decisa. Lo scortano due guardie del corpo. Lui stesso apre l’ufficio con un codice segreto, che copia da una scheda e stenta a far partire l’antifurto così l’allarme suona mentre uno dei due gorilla tiene aperta la porta e guarda intorno, sguardo professionale, come se temesse qualcosa nel buio di Imperia Oneglia, Via Aurelia bassa, rari passanti sferzati da una tramontana scura.

Saliamo, lasciando i cappotti: l’ufficio è deserto e ben diverso dal viavai di segretarie e postulanti. Ma è anche un gelido sabato pomeriggio d’inverno e il ministro vive appartato da mesi e mesi, una fine primavera, un’estate di totale isolamento, un autunno cupo, un inverno con le nuove inchieste a Imperia…

Entriamo in una sala piccola, la sua stanza, con la scrivania all’angolo e il pianale sgombro di carte. Spicca un plico che si può leggere alla rovescia:

“Discorso del ministro(!?!) Scajola a Calata… di Porto Maurizio, durante la manifestazione di solidarietà nei suoi confronti.”

La penultima uscita pubblica a Imperia nell’occhio del ciclone, prima di un comizio a palazzo Ducale di Genova in dicembre, una specie di battesimo dopo le dimissioni…

Mi hanno fatto tutto questo perchè sono sempre stato uno che cercava di agire, di far prevalere i fatti alle parole, di far camminare i progetti, le idee”, dice il ministro come se dovesse spiegare quel che preme di più, le dimissioni di dieci mesi fa dal ministero dello Sviluppo Economico nel pieno dello scandalo di via del Fagutale, vista Colosseo, la casa comprata a 650 mila euro secondo lui, ma “a sua insaputa” con 950 mila euro in più, pagati dalla famosa cricca di Anemone, Zampolini, Balducci e compagnia cantante, meglio, compagnia truffante.

“Mi hanno fatto questo e il resto e la trappola di Cipro con la frase sul povero Marco Biagi, spiattellata sui giornali, che non avevo pronunciato io – perchè non stavo mai fermo, perchè mi davo da fare, forse perchè apparivo troppo ambizioso”, spiega forse più a se stesso che all’interlocutore in quella stanza piccola, l’avamposto da deputato che si sta ripopolando, dopo il lungo silenzio.

Anche lo scandalo Biagi, la frase micidiale “quello era un rompicoglioni che voleva solo consulenze”, anche questa storia “a sua insaputa”, luglio 2002, dimissioni dal Viminale come punizioni al deputato-ministro che si allarga troppo, che fa l’ambizioso all’ombra del Cavaliere? A sua insaputa era in fondo stato anche il viaggio con altri maggiorenti della fu Dc sanremese e imperiese a Martigny, per trattare l’appalto del Casinò di Sanremo all’imprenditore Cesare Borletti, quello dei “punti perfetti”, nei lontani anni Ottanta, quando incominciano le montagne russe di Scajola Claudio, figlio di Ferdinando, fondatore della Dc, fedele di De Gasperi… Anche quel viaggio remoto a sua insaputa o per smania di controllo del sindaco di Imperia, lui che anche da quell’incarico si dimise davanti al capitano dei carabinieri che lo arrestava nel suo ufficio?

A sua insaputa. Forse questa contro l’uomo, il politico, il ministro carico di responsabilità istituzionali e di ruoli politici è la sentenza più forte dei processi, delle inchieste che stanno sfumando a Perugia (inchiesta sulla cricca e l’acquisto della casa delle famose sorelle Pappa a un prezzo esorbitante) e che entrano in un binario lento a Imperia (indagine su di lui per associazione a delinquere in concorso con il famoso imprenditore Francesco Bellavista Caltagirone per avere favorito la fantasmagorica costruzione del superporto di Imperia con concessioni e operazioni ardite amministrativamente. E non solo).

Scajola sta tornando alla soglia della primavera 2011 sulla scena politica e parla cauto, ma è un po’ come se la ferita o meglio le tre ferite della sua carriera fossero state in qualche modo cicatrizzate. L’ultima sanguina di più, ma è ovvio.

Tornerà a occuparsi del partito di Berlusconi, come diavolo si chiamerà, da coordinatore unico anche se gli hanno già aperto il fuoco contro a incominciare da Marcello Dell’Utri, nemico storico e sostenitore di Verdini il fedelissimo che insieme a La Russa e al declinante Bondi sta guidando il Pdl nei marosi di un anno quasi drammatico. Ha messo le fondamenta al futuro lavoro già da mesi con la Fondazione Colombo, nome-tributo al suo maestro democristiano, grande studioso del navigatore genovese, dove ha riunito 62 deputati, presieduti da Antonio Martino, l’ex ministro, figlio dello statista liberale, un berlusconiano molto appartato da anni, con sede a Largo Chigi e quota d’ingresso da 10 mila euro.

Il partito e non il governo, malgrado i rimbalzi di voci liguri che parlano di uno spacchettamento del ministero dello Sviluppo Economico, con il ritorno di Scajola nella sede di via Veneto e lo scorporo delle comiunicazioni e tv al suo successore Paolo Romani.

Un ritorno alla sua missione iniziale, quella che da semplice peones deputato azzurro il Cavaliere gli affidò alla fine degli anni Novanta, dopo la sua inattesa e folgorante elezione in Parlamento e che lo portò alla vittoria clamorosa delle Elezioni Regionali del 2000, quando l’esito del voto esplose nelle clamorose dimissioni da premier di Massimo D’Alema e preparò il successo della casa delle Libertà nel 2001.

“Perchè mi è successo tutto questo”, racconta Scajola, alludendo alla stangata del Fagutale, la casa “a sua insaputa” che l’ha fatto cadere per la terza volta. “Ci ho pensato spesso perchè il caso è esploso molti anni dopo l’acquisto, la trattativa… Ho dato fastidio spingendo per il ritorno del nucleare con una soluzione “alla francese”, mentre magari gli americani si aspettavano che puntassi su di loro. Sa cosa mi è successo poco prima di Natale, quando il mondo era scosso dal superhacker D’Assange e da Wikileaks? Una mattina suona il mio telefonino segreto, quello il cui numero conoscono in pochissimi e sento una voce assolutamente ignota, che sussurra: ministro ha letto bene Wikeleaks? Vada a cercare bene… C’è anche lei e farà una bella scoperta. Scorro, scorro e mi trovo in un rapporto allarmato che gli americani mandano a Washington sull’operazione nucleare che l’Italia sta preparando. Proprio sotto la voce Scajola… E poi il contratto con la Turchia per una fornitura decennale di gas che avrebbe messo in sicurezza totale l’Italia, altro che ricatti nord africani e arabi! Guarda che coincidenza, dalle segnalazioni della Banca d’Italia saltano fuori quegli 80 assegni sospetti, firmati sei anni prima, per comprare la casa vicino al Colosseo!”

Una congiura vera e propria per tagliare le gambe al ministro imperiese, troppo pimpante? “Una congiura a più largo raggio”, spiega l’ex ministro che si sprecava sull’energia, “perchè dalla mia storia, esplosa all’inizio di maggio e culminata con le mie dimissioni, incominciano tutte le danze di guerra contro Berlusconi e il suo governo che non sono più finite. Partono con me e poi via via succede di tutto, la cricca degli appalti, la P3, la tempesta su Verdini, poi di nuovo Berlusconi con l’inizio del Ruby Gate, poi Pompei con i crolli, la mozione si sfiducia e Bondi messo in croce anche per i favori all’ex marito della sua compagna e poi via con il Bunga bunga e tutto il resto, Fini che parte e Casini dietro…”

Ma, mentre il leader di Imperia aspetta ancora rattrappito tra la Liguria e Roma, dove i suoi contatti con Berlusconi sono più frequenti e lunghi e oramai programmatici, dopo lo scatafascio iniziale dello scandalo Fatugale, a Perugia ombelico della sua inchiesta cosa fanno?

“Non un segno, non un avviso di garanzia, non una convocazione dai Pm, anzi il fine indagine senza il mio nome e perfino uno dei magistrati che quando mi dimisi chiese ad uno dei miei avvocati: ma Scajola perchè si è dimesso? Insomma io sono stato massacrato: vuol sapere come tutto è cominciato e perchè non sapevo veramente cosa era successo nell’acquisto di quella casa?

“Tutto era cominciato il 25 gennaio 2010, quando la Banca d’Italia segnala alla Guardia di Finanza gli assegni, in numero di ottanta, alle sorelle Papa. Sono fatti del 2004, l’anno della compravendita. Ma già prima di quel maggio, nell’estate precedente, un esposto-denuncia era arrivato alla Procura di Firenze sul quale si mette a lavorare la Guardia di Finanza. La storia dell’autista tunisino Laid Ben Fhati Hidri, un collaboratore di Diego Anemone viene scoperta dalla Gdf, che interrogando il tunisino, viene a sapere che lui un bel giorno porta una valigia con 500 mila euro in contanti all’architetto Zampolini, che si occupava dell’acquisto e della ristrutturazione della mia casa. In realtà dentro a quella valigia c’erano non 500 mila euro, ma 900 mila. Cosa dicono i verbali della Guardia di Finanza? L’autista racconta che quella valigia gliela ha consegnata Anemone in persona e che dentro ci sono i soldi per la casa di Scajola. Zampolini va con la valigia dal direttore della Deutsche Bank, filiale di largo Argentina, che trasforma quei contanti in assegni, appunto 80 assegni da 12 mila euro ciascuno per stare dentro i limiti di legge..

“Quello che non si sa, ma che ho scoperto dopo, facendo le mie indagini è che solo una settimana prima le sorelle Papa, le venditrici, aprono un conto corrente proprio in quella banca e in quella filiale. Che bisogno c’era di farlo? Ma io di quegli 80 assegni non ricordo nulla, non ricordo nulla.”

Ecco il patatrac, ecco il nocciolo dell’accusa chiave “ a mia insaputa”, dello scandalo del ministro a cui pagavano la casa e lui non lo sapeva, non capiva o faceva finta, visto che sono uscite dichiarazioni di tutte le parti in causa di quella massiccia consegna degli assegni, il direttore che li porgeva a Scajola, Scajola che li firmava e poi, uno a uno, li consegnava alle venditrici. Come è possibile che quelli dichiaravano e lui non sapeva niente?

Scajola si scalda un po’ e riprende il suo racconto. “Andate a leggere i verbali delle dichiarazioni dei testi nella inchiesta di Perugia. Spulciate tutti gli atti. Cercate le virgolette di quelle dichiarazioni: ho preso gli ottanta assegni, ho consegnato gli ottanta assegni, ho preparato gli ottanta assegni… Non ci sono. Sono finite sui giornali come dichiarazioni giurate ma non ci sono nelle carte. Ah come mi sono pentito, anzi è l’unica cosa di cui mi sono pentito in tutta questa vicenda, di non avere fatto una conferenza stampa, contestando a chi mi contesta quelle dichiarazioni virgolettate, di mostrarmele, di farmi vedere i documenti con le virgolette. Di farmi sbattere il naso sulle firme…”

Ammettiamo che la consegna degli ottanta assegni del macroscopico sovraprezzo non sia avvenuta. Resta l’esorbitanza del prezzo: quella casa pagata 1 milione e 650 mila euro?

“Non sono mica matto”, si scalda Scajola, “non sono ricco e volevo ben vedere cosa compravo e quanto lo pagavo. Ho fatto fare un’indagine prima dell’atto definitivo, una indagine immobiliare e veniva fuori che quella casa, un mezzanino di 180 metri quadrati, con le finestre a metà, le inferriate, mica un attico d’oro, valeva una cifra tra i 650 mila e i 750 mila euro. E io avrei firmato e consegnato assegni per far crescere quel prezzo fino a 1 milione e 650 mila euro? Ma 750 mila euro era già una cifra consistente per le mie tasche…Quando è esploso lo scandalo ho fatto fare un’altra inchiesta immobiliare, molto più approfondita, ho passato in rassegna, tutti i contratti di acquisto e di vendita e perfino di locazione della zona, quell’area che guarda il Colosseo, dove ci sono ben 5.000 finestre affacciate sul monumento, mica solo le mie. E’ venuta fuori più o meno la stessa cifra: da 650 a 800 mila euro. Per questo pensavo di avere fatto un bell’acquisto…”

Onorevole non basta, ti viene da dire. Quel giorno del rogito gli assegni erano lì, sono passati di mano, sono finiti sui verbali della Banca d’Italia. Rifacciamo la scena di quelle firme di quell’incontro e ricostruiamo cosa è successo nel suo ufficio al Ministero anno 2004. Perchè è lì che è stato fatto l’atto notarile…

Scajola si alza in piedi e mima la scena del rogito, nella sala delle riunioni del Ministero dell’Attuazione del Programma, il suo dicastero di allora, quello dove era rientrato dopo le dimissioni, due anni prima dal Viminale, un ufficio non grande in via della Mercede, una specie di dependance di palazzo Chigi. Scajola mostra di essere uscito dalla porta del suo ufficio personale e di essere passato nella sala riunioni dove lo attendevano le venditrici, le sorelle Papa e il notaio Napoleone. Racconta che per prima cosa si era scusato perchè non era andato ad accoglierli sulla porta, come era uso fare per educazione e poi si era seduto capotavola a un lungo tavolo di cristallo.

“Ci ho pensato mille volte a cosa era successo dopo la lettura dell’atto. Io avevo dato i miei assegni e la parte in nero di 150 mila euro, ho firmato, ho ascoltato e me ne sono andato. Gli ottanta assegni del sovraprezzo? Non sono mica pazzo. Ci fossero stati 80 assegni in più da consegnare uno per uno, dopo averli firmati, quanto tempo ci avrei messo? Mezz’ora, di più… Io avrei firmato, il notaio e le venditrici avrebbero controllato… Mica stavamo giocando a Monopoli. Dopo, a scandalo esploso, mi hanno detto che per difendermi avrei dovuto dire che non mi ricordavo, che non avevo capito, che mi ero sbagliato, che avevo fretta.

Anche Berlusconi me lo ha detto nel colloquio tempestoso che abbiamo avuto allora e io gli ho urlato che non sapevo mentire come lui e forse ho anche esagerato, urlandoglielo che io non sono un bugiardo… Lui ci è rimasto male, ma poi ha capito, hanno capito che mi avevano fregato, che ero in trappola.”

L’ex ministro non può dirlo, nella sua foga di difesa, che se l’operazione dei 900 mila euro fosse avvenuta qualche tempo dopo, magari nel 2006 quando il Governo Prodi -Visco avrebbe sparato le norme sulla tracciabilità dei pagamenti, quegli ottanta assegni ( se c’erano veramente) avrebbero lasciato una scia lunghissima e tangibile, perfino ufficiale nell’atto notarile, obbligato dalla nuova norma a registrare assegno, numero, importo accanto a tutto il resto. Se Scajola ha ragione e tutto avvenne “ a sua insaputa”, ah come sarebbe venuto bene un meccanismo simile.

Invece degli assegni “proibiti”, là sulle carte dell’atto di via Fatugale, non ci poteva essere traccia e vale la parola, se c’è stata, di venditrici e notaio, registrate dai giornali con virgolette e assenti dai verbali dei magistrati.

E allora perchè il ministro decide di dimettersi dopo giorni di roventi polemiche, di attacchi sui giornali, di “sputtanamenti” a tappeto, se è convinto di avere ragione?

“Mi sono dimesso”, dice ora Scajola , “perchè ho un’idea della politica e delle istituzioni diversa da quella di molti anche della mia parte politica. Non sopportavo di dover andare in giro e dover affrontare un’accusa, degli insulti che per me si reggevano su una falsità, di cui non sapevo nulla, massacrato da una campagna mediatica totale, alla quale non potevo reagire, perchè tutto era avvenuto “a mia insaputa”. Temevo di non reggere. Ho sempre fatto politica per passione, mica per farmi regalare le case! E così, in quei giorni infernali, tornando da un viaggio di Stato in Tunisia, e vedendo che i giornali erano tutti dedicati a me, non ho retto più. Ho pensato che dimettermi era tirarmi fuori da quel massacro e salvare il Governo da un tiro al bersaglio che non finiva più.”

È la terza volta che Claudio Scajola si dimette e anche in questa occasione la decisione è privata, di famiglia. “Con chi ho deciso? Con i miei due figli Lucia e Piercarlo, sdraiati sul lettone della casa di Roma, quella dello scandalo, come quando loro erano piccoli. Mia moglie non c’era, era a Imperia, ad assistere sua madre. La mattina dopo mi chiama Gianni Letta e mi chiede: cosa fai? Gli rispondo: mi dimetto oggi. Lui insiste ma io vado in conferenza stampa e faccio l’annuncio. Credevo che quel gesto inusuale in Italia significasse qualcosa: non ero indagato, non avevo ricevuto una sola carta dai Pm di Perugia e non ne avrei ricevuto mai. In Italia c’è gente avvisata di reato, rinviata a giudizio, condannata a anni e anni, anche del mio governo, magari fatta anche ministro in condizioni giudiziarie non perfette, che resta al suo posto e non fa una piega…

Invece, per me, che avevo staccato è continuato il macello. Qualche giorno dopo uno dei Pm di Perugia ha perfino chiesto al mio avvocato: “Ma perchè Scajola si è dimesso?”. Levarmi da tutto, tornare a casa è stato difficile, pesante.”

L’ex ministro torna a casa, nella sua villa sopra Oneglia, Diano Calderina, un angolo di paradiso e si chiude come in un fortilizio. “Ho passato un’estate terribile. Giornate che incominciavano con la rassegna stampa della mattina e si chiudevano con quella della notte. Per sapere cosa dicevamo del mio scandalo. E nella giornata cercavo di verificare ogni cosa che veniva pubblicata. Non riuscivo neppure a uscire in giardino a respirare. Quando è stata pubblicata la notizia che la famosa contropartita della “donazione” ricevuta per comprarmi la casa era un superappalto per costruire la caserma Zama a Roma, di cui avevo dato disposizione al generale Mori, mi sono venuti gli incubi. Mi vedevo, io, ministro degli Interni, che dava ordine al generale di piazzare l’appalto. Mi sembrava reale. Poi mi svegliavo di colpo, correvo a farmi una doccia gelata e ricostruivo che quell’appalto era del 2004 e io non facevo più il ministro dell’Interno dal 2002…”

Quella estate l’ex ministro, già definito universalmente come il politico “a sua insaputa”, si era trasformato in una specie di Sherlock Holmes, l’investigatore di se stesso, che accumula montagne di carte per scoprire se l’hanno fregato e come: “Per stabilire quale fosse il prezzo autentico della casa di via del Fagutale ho addirittura speso 10 mila euro in quella perizia speciale, che confermava il primo valore che avevo accertato: 750-800 mila euro. Cosa ho pensato? Che c’era stata un’operazione di riciclaggio alle mie spalle: l’autista tunisino che porta la valigia con i 900 mila euro a Zampolini, l’appuntamento nella banca di largo Argentina, la trasformazione in assegni, ottanta assegni che io non vedo e che, durante il rogito notarile durante il quale io velocemente passo i circolari del mutuo e il “nero”, passano da una parte all’altra del tavolo chissà come. Io entro e esco da quella sala riunioni. Poi ci sono le dichiarazioni sui giornali delle venditrici, del notaio… Il cerchio si chiude perfettamente e sei anni dopo, sei anni dopo, la trappola si chiude.”

Ora l’ex ministro “ a sua insaputa” trova anche la forza o la faccia direbbero i suoi avversari, di tentare un sorriso. Perugia ha chiuso le indagini e il suo nome non c’è.

Scajola è sempre più spesso a Roma, come prima, alla vigilia di una nuova “ripartenza” si direbbe calcisticamente. Berlusconi e lui si sono parlati a lungo ad Arcore. Investitura per il ruolo nella rifondazione della Pdl? Il primo a sparare contro a questa ipotesi è stato il nemico storico di Scajola, il senatore Marcello Dell’Utri, proprio alla vigilia dello scioglimento per mafia del Comune di Bordighera, provincia di Imperia. Beffarde coincidenze dopo le aperture di circoli e club ispirati al fedelissimo siciliano di Berlusconi, tutte disertate da Scajola, principe feudatario ancorchè in difficoltà. Di quella terra.

“Ora bisogna pensare all’Italia, alla patria”, sospira Scajola alla fine del lungo colloquio, “la Liguria, Genova che soffre, verranno dopo”.

Published by
Marco Benedetto