Cosa c’entra un Faraone con il parco-scrigno delle Cinque Terre, angolo di paradiso sulla costa ligure, cantato da Montale, piccolo, riservato, fatto di borghi intoccabili a picco su un mare di scogli e approdi difficili, di vegetazione aspra, di spiaggette riservate? Cosa c’entra questo “titolo” da superfeudatario, padrone assoluto del Parco, patrimonio dell’Unesco, meta di un turismo mondiale, sopratutto yankee, riservato, colto, giovane, il meglio per la nicchia ligure di cui tutti si lustravano gli occhi e pure facevano propaganda, sventolando un appeal turistico che non ha più molto da vantare in Liguria nel veloce mondo dei viaggi e delle vacanze no limits?
Il Faraone, il feudatario, il padrone del Parco, il suo presidente è Franco Bonanini, deus ex machina di questa colossale e redditizia operazione turistica, in carcere da tre giorni, dove parla e spiega cosa c’è da raccontare davanti a accuse come truffa ai danni dello Stato e associazione per delinquere. Sta sotto queste accuse che volgarmente si traducono nelle “creste” che il Faraone avrebbe fatto sui contributi dello Stato e dell’Europa e della Regione per tenere in ordine il suo angolo di Paradiso: rifare la rete magica dei sentieri a picco sul mare o nel cuore verde del parco, restaurare le piccole stazioni ferroviarie dei borghi sulle Cinque terre, salvare le pietre storiche di case e rustici, ricostruire, salvare e migliorare.
Possibile? Sono vere queste accuse di interesse personale in operazioni di finanziamento pubblico, costruite con un’ordinanza della Procura di Spezia lunga 890 pagine e supportata dalla solita valanga di intercettazioni, migliaia di pagine, sputate dall’ascolto del telefono, ma anche da un nugolo di cimici che gli uomini della Polizia giudiziaria avevano piazzato dallo scorso aprile negli angoli sensibili del parco, soprattutto negli uffici del Comune di Riomaggiore, dove è la sede dell’Ente ?
Mentre, come in ogni inchiesta che si rispetti incominciano a spuntare i primi pentiti, il Faraone si dispera e incomincia a collaborare, travolto dall’enormità delle accuse e soprattutto dal capovolgimento della sua immagine, che era quella di una specie di santo del turismo sofisticato, un genio del turismo ecocompatibile, un leader carismatico, al quale il successo aveva dato oramai una notorietà anche bipartizan, con i potenti di destra e di sinistra che salivano in Paradiso a osannarlo, dal presidente della Regione Liguria il pd Claudio Burlando alla ministra dell’Ambiente, Stefania Prestigiacomo, Pdl. Il presidente Romano Prodi in braghe corte che sale per i sentieri incantati e va a abbracciare il presidente del Parco e il presidente della Commissione Trasporti del Senato, il superberlusconiano Luigi Grillo, enfant du pays, spezzino doc, che produce il suo vino a due passi da Riomaggiore.
Si capovolge la figura di questo “inventore” di una formula turistica vincente da oramai un quindicennio e lo choc è pure avvolto da una aureola di martirio per le condizioni fisiche dello stesso Faraone, che quattro mesi fa ha subito un trapianto di fegato e il cui stato di salute è precario e oggi terribilmente fiaccato dalla folgorante detenzione.
“Temo per la sua vita”, dice, strappandosi le vesti, il presidente Burlando, mentre i particolari dell’inchiesta esplodono, dilatando i confini del regno di Bonanini. E’ un vero e proprio giallo, che diventa pubblico con gli arresti del Faraone, del sindaco di Riomaggiore Pasini, di tecnici, impiegati, architetti, tutti in manette in una plumbea mattinata di fine settembre, quando su, a Riomaggiore, salgono le camionette della Ps, manco fossimo a Corleone e gli uomini del prefetto di ferro Mori andassero a arrestare una intera cosca mafiosa.
Altro che cosca, molto più modernamente Bonanini e i suoi si erano ribattezzati , secondo le intercettazioni, “la cricca”, usando un termine tristemente di moda nei mesi recenti. Alludevano a se stessi e alle loro operazioni oggi sotto inchiesta come a una cricca, non sapendo che tutto era nato molto indirettamente proprio dalle indagine sulla cricca vera, quella romana del caso Scajola, l’ex ministro ligure incastrato da Balducci e compagnia cantante romana e vaticana, per la casa comprata in faccia al Colosseo.
Anche qui tutto parte da una casa e sfiora, seppure molto più da lontano, un altro ministro, l’”eroe” della Funzione pubblica, Renato Brunetta che, micidiale coincidenza, si era comprato un rustico nel cuore delle Cinque Terre, sotto la protezione del Faraone. Un affare in cui colpisce la differenza tra il valore di mercato e il costo complessivo, tra prezzo pagato più i lavori di ristrutturazione, che mette in sospetto gli inquirenti romani, ai quali era arrivato l’ordine di spulciare bene gli acquisti immobiliari di ministri e sottopanza.
Brunetta in questa storia di paradiso violato non è indagato, ma sarebbe stato ampiamente citato dal Faraone e dai suoi, quando lo scandalo incominciava a profilarsi. Ancora non tutto è chiaro in questa vicenda, ma certamente gli elementi raccolti dagli investigatori devono essere gravissimi se hanno giustificato la raffica di arresti.
E’ stato durante l’estate che la puzza di bruciato sulle operazioni disinvolte dei finanziamenti pubblici ha incominciato a ammorbare gli zeffiri dolci del Parco. I poliziotti spediti lassù dalla Procura di Spezia, mossa dai colleghi romani, stavano setacciando tutte le operazioni di finanziamento del parco e Bonanini era furibondo. Sospettava l’inchiesta a tappeto. “Ci stanno puntando, aveva detto al sindaco di Riomaggiore, dobbiamo attaccare.”
Gli agenti erano saliti sui sentieri dei Santuari e avevano scoperto una piccola impresa edile che stava ristrutturando il rustico di Brunetta. “Abbiamo finito i lavori, mancano solo le rifiniture”, aveva spiegato l’impresario, un certo Daniele Carpanese. E agli agenti increduli aveva aggiunto che lui conosceva solo la cifra dei lavori, non il prezzo di acquisto. Giù in paese c’era chi garantiva che l’operazione immobiliare ne valeva, almeno, 200 mila, forse 300 mila di euro. E chi sarebbe stato il garante, se non il Faraone, eroe bipartizan, al quale l’acquisto di Brunetta dava una bella copertura. Non solo “politica”, ma proprio finanziaria, perchè i fondi per ristrutturare e indirettamente far pagare poco l’acquisto del ministro, sarebbero arrivati, secondo l’accusa, da uno di quei finanziamenti statali, diventati una sospetta “cresta” che l’Ente Parco riceveva attraverso un ente Regione sempre molto attento a aiutare il Faraone.
Un gioco sottile che si stava scoperchiando e la cui scoperta mandava in tilt Bonanini e i suoi. E’ in quei giorni che sul grande parco incomincia a volare un Corvo che semina il borgo, i sentieri, le case da sogno, di lettere anonime che denigrano gli inquirenti, in particolare l’agente di Ps più solerte, Andrea Mezzochiodi, bersagliato da accuse infamanti, anche erotiche.
Chi è il Corvo che svolazza in paradiso e cerca di minare l’inchiesta? E perchè il Faraone e la sua “cricca” chiedono, proprio in quei giorni, di bonificare i loro uffici temendo di essere intercettati e ottenendo il risultato contrario? Oramai le cimici hanno succhiato tutto quello che potevano dei colloqui tra il Faraone, il sindaco, i tecnici del Comune, gli esperti dei finanziamenti.
Oramai la morsa si sta stringendo e tutto il Parco mormora e tutte le Cinque Terre sentono che la tempesta sta per arrivare.
Nel giorno delle manette in Paradiso si scoprirà anche che il Corvo è il Faraone stesso, che le lettere anonime partivano da lui, così come suoi erano i tentativi di coinvolgere per farsi difendere il ministro Brunetta. Gli inquirenti trovano le copie delle lettere in una abitazione del borgo. E il cerchio si chiude completamente.
Non solo quello intorno al Faraone e alla sua cricca, ma anche a tutta la Liguria di un’estate scandalosa. A maggio si era cominciato da destra o da Ponente se volete, con il caso di Scajola, l’imperiese e la sua casa al Colosseo, pagata a sua insaputa dalla cricca doc, quella romana. A settembre si finisce a sinistra e a Levante, se vi piace, con il rustico del ministro Brunetta, che fa scoperchiare le accuse al Faraone.
Scajola si dimette l’8 maggio da ministro dello Sviluppo Economico. Il 29 settembre Franco Bonanini si dimette da presidente del Parco delle Cinque terre, patrimonio dell’Umanità, con una lettera drammatica: “Ho solo agito nell’interesse del Parco, non mi sono messo in tasca nulla e lo dimostrerò. Uso le poche forze che mi restano per difendermi.”
In Paradiso incomincia un autunno grigio dopo un’estate rovente. E in Liguria non sanno più da che parte guardare: a Ponente dove l’impero di Scajola trema ancora o a Levante dove il silenzio del Paradiso di Bonanini è rotto dal tintinnio delle manette?