Sergio Cofferati candidato in Liguria, la quinta vita: da Cgil a reddito cittadinanza

Sergio Cofferati

GENOVA – L’ultimo ad arrivare fendendo la folla che riempie la mitica Sala Sivori, dove nacque il Partito Socialista Italiano e dove ora c’è un cinema, in quella border line che separa il cuore nobile di Genova dai suoi caruggi, Salita Santa Caterina, è niente meno che Giuliano Montaldo, il grande regista italiano e genovese. Arriva in prima fila con un gran capello in testa e il suo capotto di cammello e un gran sorriso stampato nella sua faccia da giovanissimo ottantaquattrenne, uno dei grandi vecchi genovesi che hanno fatto fortuna in Italia nel mondo, con Paolo Villaggio, Renzo Piano, Vittorio Gasmann, Gino Paoli, Fabrizio De Andrè.

E si siede sotto il palco, facendo strizzare gli occhi dal piacere a Sergio Cofferati, che sta ammanendo il suo pubblico nell’incontro show che lancia la sua campagna elettorale per le Primarie che l’ 11 gennaio 2015 sceglieranno il candidato del centro sinistra a governare la Liguria.

Sergio Cofferati, anni 66, ex segretario generale della Cgil fino al 2003, poi leader della sinistra Pds e Ds, che venne prima del Pd, poi sindaco di Bologna dopo Guazzaloca, poi europarlamentare nella circoscrizione del Nord Ovest dal 2009 a oggi, eletto già due volte, diventato genovese di residenza, di adozione politica, di nuova famiglia formata proprio nella ex Superba.

Sergio Cofferati, ancora tu, ma non dovevamo vederci più? Così potrebbe incominciare la canzone della rottamazione renziana, che avrebbe dovuto imbalsamare il “cinese” nel museo delle cere postcomuniste, secondo la musica e le parole di un evergreen come Lucio Battisti. Altro che imbalsamazione, se qui arriva niente meno che il regista del Marco Polo televisivo, Giuliano Montaldo, che per sigillare la sua partecipazione deve fendere un vero muro di folla, dove puoi leggere tutto l’identikit della sinistra genovese, quella che ondeggia dentro al Pd, ma va oltre, ben oltre, pescando i leaders e la truppa di quella una volta si definiva Sinistra radicale, Sinistra-sinistra e perfino anche Sinistra radical chic.

Eccoli qua tutti un po’ emozionati nella Sala Sivori, doveva nasceva il socialismo italiano, a due passi in salita da dove si scriveva, componeva e stampava il quotidiano “Il Lavoro”, organo fino agli anni Settanta del Psi, fondato dai carbonini del porto e dall’avvocato socialista amico di Turati Giuseppe Canepa, a contemplare la quarta o la quinta vita del Cofferati, la prima da sindacalista, la seconda da leader politico, la terza da sindaco, la quarta da europarlamentare.

E la quinta eccola qua, nel vulcano genovese, lui che è nato a Sesto e Uniti, vicino a Cremona, che ha vissuto a Milano, Roma, Bologna, in tutta l’Italia e ora sta all’ombra della Lanterna, che per un padano doc è una specie di capovolgimento del mappamondo.

Eccoli tutti e vedremo come sono e chi sono a sentire il senso di una sfida che sta spiazzando non solo la Liguria della politica ma anche Roma, dove il “cinese” non è certo considerato un frutto del nuovo ed è pure cuperliano e con la Leopolda 5 e con il tacco dodici delle ministre del Matteo fiorentino proprio c’entra poco.

Lui sta in giacca blu, panciotto e cravatta sul palco scelto non a caso per la location storica, come aveva scelto il luogo dell’annuncio della sua candidatura-bomba, facendo rullare i tamburi al Teatro Carlo Felice, tempio della sua passione lirica, della sua conclamata melomania con propensione al melodramma. Le altre passioni extra politica sono la fantascienza e i fumetti, in modo che questa triplice evasione sembra coincidere con il momento che si celebra alla Sala Sivori: la lirica per lanciare acuti in una Liguria agonizzante dopo il lungo regno di Claudio Burlando, la fantascienza per immaginare un futuro, che qua nessuno ha più neppure la forza di prefigurare, dopo le alluvioni e le frane a ripetizione e i fumetti con l’eroe Tex Willer che è sempre il più veloce con la Colt, ma ha cuore e generosità ed è uno sicuramente solidale.

Ancora tu, ma non dovevamo vederci più? Cofferati alzerà il tiro, proprio come il prode Tex per respingere le accuse di essere “il vecchio” che non muore mai, – e chiederà ironico, ma Chiamparino a Torino quanti anni ha? – che il Partito con la maiuscola sistema sempre in pompa magna, per zittire che lui ci azzecca eccome con Genova e non solo perchè il famoso violino “Guarnieri del Gesù”, il Cannone con il quale Nicolò Paganini suonava i suoi “Capricci”, era stato costruito dai maestri liutai di Cremona che tutt’ora lo restaurano come una santa reliquia della musica.

Nel lancio della sua campagna userà di più quella pistola di Tex che il violino per spiegare come mai un monumento della vecchia generazione, con più anni di D’Alema e di Veltroni scende in campo in Liguria, contro la candidata del presidente uscente, Raffaella Paita, quaranta anni compiuti proprio in questi giorni, una che il tacco 12 se lo metteva almeno fino ai giorni dell’alluvione,ma che ora ha cambiato pure look, sotto i colpi degli allerta 1 e 2 e della ricerca disperata dei fondi che risarciscano la Liguria in ginocchio.

Il “cinese” contro la Lella: banalizzando questo è lo scontro e il motivo per cui questa sala si riempie e la gente sta in piedi a vedere il vecchio campione che affronta la pulzella, lei renziana salita sul carro di Matteo un po’ in ritardo con la spinta di Oscar Farinetti insieme a Burlando e il suo l’establishment di potere del Pd che da anni e anni “occupa” l’arcobaleno ligure.

Lei spezzina, lui cremonese sul ring della Liguria alluvionata, de industrializzata, denatalizzata, la regione più vecchia d’Italia che deve eleggere il suo tredicesimo presidente dal 1970, dopo averne avuti della Dc, del Pci, del Psi, dell’Ulivo, della Quercia, del Pd e pure uno di Forza Italia, il tutt’ora deputato Sandro Biasotti.

Lui cuperliano nelle ultime battaglie del Pd lacerato, lui che riempiva il Circo Massimo con tre milioni e mezzo di lavoratori in difesa dell’articolo 18, ma che ora è troppo avveduto per allargare il match sul ring nazionale. Bisogna salvare la Liguria, farla uscire dalla fine della politica burlandiana, affrontare le emergenze – spiegherà Cofferati – denunciando la fine di un ciclo, quello del potere burlandiano, che ha gestito il potere polverizzando i fondi in operazioni minime per innaffiare clientelarmente il territorio, invece di affrontare i grandi nodi della messa in sicurezza del territorio, delle infrastrutture che isolano il territorio dal resto dell’Italia, dell’Europa, del mondo, di un rilancio post industriale fondato sulla ricerca.

Quanto è puntuto nella sua quinta vita il “cinese”, che attacca a tutto spiano, sventolando i documenti del governo regionale che restringono al 3% gli investimenti stanziati dalla giunta Burlando per difendere il territorio pochi mesi fa, prima delle ultime catastrofi alluvionali, ma dopo quelle terribili del 2011 nelle Cinque Terre e poi di Sestri Ponente e nel cuore di Genova, con gli straripamenti del fereggiano e i sei morti.

Si difende dalle stilettate e dalle frecce avvelenate il “cinese”, promettendo che continuerà a fare l’eurodeputato e il candidato insieme, rinunciando a “inaugurare qualche bocciofila, per la quale il cuore mi duole….”, osserva, respingendo la richiesta di chi voleva che mollasse il seggio e lo stipendio da europarlamentare.

Annuncia un salario minimo di cittadinanza per i liguri e dispiega tutta la sua esperienza sindacale nell’immaginare un futuro post industriale nel quale sistemare la manifattura ancora in piedi dopo lo sfacelo postindustriale e lanciare veramente il polo tecnologico-informatico di Erzelli, la piaga aperta delle incompiuta genovese numero uno.

Promette senza farsi tremare troppo la sua mitica barba bianca di avere colto bene tutte le potenzialità di un vero pescaggio del patrimonio storico-culturale che la Liguria contiene e che non è mai stato sfruttato in pieno come il turismo, azzoppato proprio dalla mancanza di collegamenti. Che disastro quando l’Europa ha così puntato con i suoi corridoi di arrivare in Liguria attraverso la Svizzera e con la linea Lisbona-Barcellona- Marsiglia- Nizza- Ventimiglia.

“Magari ci sono aspettative misurate su grandi interessi per velocizzare questi collegamenti, ma a noi importa che quelle infrastrutture si realizzino senza perdere più tempo.”, spara con la pistola di Tex. E sono chiare le allusioni al Terzo Valico, finalmente incominciato dopo 25 anni dalla sua progettazione, a quasi venti anni da quando Burlando era il ministro dei Trasporti che parlando di alta capacità aveva frenato con la rapida il progetto e le allusioni al raddoppio della Ventimiglia-Genova.

Siamo scollegati perchè non siamo capaci di “parlare” con i vicini che siano le altre regioni o che siamo gli altri Stati europei, ammonisce dalla sua cattedra di eurodeputato, uno di quelli che non ha mai mancato le sedute delle sue commissioni e del Parlamento Ue.

Ancora tu ma non dovevamo vederci più? Sergio Cofferati sciorina il suo piano, cerca di dimostrare come il suo ingresso in Liguria è nel cuore dei problemi, ma il pubblico che è arrivato a riempire la Sala Sivori sulle poltroncine di velluto rosso, come si conta e come si schiera?

Andare a spasso per questa platea, seduta e in piedi, è uno spettacolo perchè dimostra in pieno quali faglie di terremoto percorrano la Sinistra o meglio il centro-sinistra che Cofferati si infervora a difendere come formula storica e attuale, citando anche leader un tempo avversari storici come l’oramai leggendario per tutti Paolo Emilio Taviani, ex ministro, senatore, studioso di Cristoforo Colombo, gloria numero uno della politica ligure post bellica, ancorchè sostenitore del primo centro-sinistra italiano.

Tanto per incominciare in prima fila ci sono il direttore del Teatro Stabile di Genova, tempio della prosa, Carlo Repetti, che era un “fratello” di Burlando e al suo fianco il nuovo sovraintendente del Carlo Felice Vittorio Roi, degne scorte di Giuliano Montaldo. La cultura e il teatro d’abord verrebbe da dire…

Ma tre poltrone più in giù c’è il rampante sindaco di Savona l’ultrarenziano Federico Berruti, che aveva già incominciato la campagna “primaria”, sfidando dalla sua città la Raffaella, ma che poi si era ritirato dalla sfida in prima persona ed ora appare come il link perfetto tra il “cinese” e il renzismo, una specie di presidente alter ego, giovane, ma già maturato, uno che alla Leopolda 1 sedeva a fianco del Matteo e ora sta qua.

Certo in sala c’è lo stuolo storico della linea di comando dell’apparato apparatikit che fu Pci e post Pci: dall’ultraottantenne Piuetro Gambolato, a Mario Margini, segretario storico, assessore regionale, stratega inveterato del potere civico e regionale, testa fine e bersaniano di ferro, Ubaldo Benvenuti, ex consigliere regionale, anche lui “storico” leader-ponte tra la tradizione Pci e il futuro di trasformazioni, Claudio Montaldo, l’attuale vice presidente della Giunta di Burlando, il potente assessore alla Sanità, l’anti Paita numero uno, dopo essere stato il fedelissimo scudiero di quello che una volta chiamavano SuperClaudio (Burlando). Ma ci sono anche gli altri, da pescare come le arringhe rosse, che nobilitano lo schieramento del cinese. C’è il segretario regionale Pd, il giovane Giovanni Lunardon, uomo dalle cento tribolazioni partitiche, un savonese che già liquidò Marta Vincenzi politicamente e che ora affronta Burlando, c’ è il giovane deputato di area dem Lorenzo Basso, già candidato recalcitrante a fare il sindaco e pure il presidente della Liguria, un lettiano doc, che vuol restare a Roma, fuori dalle risse liguri, ma che fa la sua scelta spaccando l’area cattolica del Pd.

Già, perchè il personaggio oggi più in vista dell’intero movimento a Roma e Genova, la ministra Roberta Pinotti, in odore di candidatura al Quirinale, si è schierata con Raffaella Paita, probabilmente per non rompere il filo dei rapporti con il premier, che ha affidato la Liguria al suo vice Lorenzo Guerini, per ora recitando la parte di Poinzio Pilato davanti alla faida ligure.

Anche Stefano Zara, ex presidente di Confindustria Genova, ex alto dirigente Iri e deputato Pd per una legislatura, uno dei fondatori del Pd, si schiera pubblicamente con il “cinese” che chissà magari avrà affrontato in tante vertenze sindacali. E con lui viaggia l’avvocato post democristiano Giorgio Guerello, oggi presidente del consiglio comunale di Genova.

Ancora tu, ma non dovevamo vederci più? La platea di Cofferati è ovviamente infittita dalla legione dei sindacalisti per i quali Sergio era il terminale storico e che arrivano qua un po’ tra la nostalgia del tempo che fu e un po’ per marcare un territorio che sanguina e per il quale il “cinese” offre ai loro occhi una garanzia di esperienza molto più forte dell’alternativa “nuova”. E quanti di Sel e della lista Doria, il sindaco eletto tre anni fa sconfiggendo al cuore il Pd, siedono in platea e in galleria per Sergio? Molti e sicuramente i principali leader di quella Sinistra sofferente e lontana da Renzi. “State btranquilli, non acccetteremo trasformismi”_ mette subito le mani avanti Cofferati quando il discorso scivola sulle alleanze, ricordando che i governi Burlando sono sempre stati garantiti dai centristi dell’Udc.

“Alla Liguria non serve un sindaco”, spara ancora dal palco dell’intervista pubblica Cofferati-Tex, alludendo ai superpoteri che Burlando ha cercato e cerca ancora di esercitare per fare da stampella al vacillante primo cittadino Marco Doria, mezzo travolto anche in queste ore dalle ribellioni dei dipendenti dell’Amt, l’ azienda dei Trasporti, quasi in liquidazione, dell’Amiu, l’azienda dei rifiuti, che sparge scandali giudiziari tanto estesi da far indagare perfino un cuginetto di Massimo D’Alema, Pietro che in quella azienda fa il direttore generale e che vogliono processare per turbativa d’asta.

Anche qualche signora della Genova-chic applaude in poltrona l’ex sindacalista, che venne dopo Giuseppe Di Vittorio, Agostino Novella, Luciano Lama, Antonio Pizzinato, Bruno Trentin, avversari di gente come Angelo Costa, dei Costa, presidente più longevo di Confindustria, quello della grande flotta che ora è americana. E altre signore di una altra Genova si preoccupano, alzandosi nel finale del comizio-incontro-intervista e chiedendosi: “ Ma con lui non diveteremmo una Regione contro?” Contro il Governo, contro Renzi, il renzismo, la sua “annuncite”, le sue riforme disegnate per ora e in attesa di esecuzione.

Sorride sotto i baffi e la barba il Cofferati neonato alla quinta vita genovese e amministrativa, mentre suona la canzone da lui scelta per chiudere: “Siamo chi siamo” del grande Ligabue, non a caso un emiliano, della città che il cinese ha governato e che ora è l’epicentro del rebus astensionistico che scuote tutti e che potrebbe far precipitare tutto questo nel melodramma se non nel dramma vero.

Da Lucio Battisti a Ligabue il Cofferati show scuote la città. Alla sua discesa ogni giorno replicano con una serie impressionante di interviste sui giornali della città, “Il Secolo XIX”, “La Repubblica” e “Il Corriere Mercantile”, una volta Burlando e una volta la Paita. Nell’ultima pubblicata dal “Decimonono” la bella Raffaella definisce “politica da foyer”, quella di Cofferati. Lui scendendo dal palco della sala Sivori e abbracciando Montaldo, che si rimetteva il testa il suo gran capello, aveva assicurato:”Non accetto la politica degli insulti, della denigrazione, i discorsi sull’età e sulle provenienze geografiche, io uso un altro stile”.

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Alessandro Avico