Tempi duri per la dinastia dei Messina, siciliani di origine, genovesi di adozione, armatori dei famosi Jolly che battono tutte le rotte del mondo tra tempeste, pirati, scandali di rifiuti tossici, terminalisti nel porto martoriato di Genova. Tempi tanto duri che i capi della dinasty, il vecchio capostipite GianFranco e i nipoti e figli Stefano, Ignazio, Giorgio si sono dovuti asserragliare nel cuore del loro ufficio a Genova, dove è riunita l’unità di crisi della loro flotta appesa ai messaggi radio che arrivano dal mare d’Egitto dove il salvataggio della Jolly Amaranto è stato per giorni attaccato a un filo.
Ma meglio affrontare questa tempesta vera che l’altra dei gossip delle maldicenze, dei siluri, degli impallinamenti che aveva colpito la loro famiglia nel luogo più sofisticato, snob e inaccessibile per i comuni mortali di quel grande porto dove loro, i Messina, la fanno da padroni: la Yacht Club di Genova, porticciolo Duca degli Abruzzi, il secondo per storia e lignaggio d’Italia, dopo il Savoia di Napoli.
Qui tra i saloni sobri ma un po’ tanto snob del Circolo, parquet di legno, passiere rosse, camerieri in livrea bianca con le mostrine dorate e grandi finestre sulla flottiglia di barche e superbarche con lo storico guidone a poppa e in cima agli alberi, si sta consumando da un paio di mesi una resa dei conti tra soci e pretendenti tali che potrebbe essere andata in scena cinquecento anni fa, quando i Fieschi, nobile casta genovese furono affondati e lasciarono campo al mitico Andrea Doria.
La lotta è tra la loro dinasty, potente e prepotente, sostengono gli avversari, e quella dei Novi, la famiglia dell’ex presidente del porto coinvolto tre anni fa in una clamorosa inchiesta della magistratura genovese che lo arrestò proprio per avere “truccato” una gara nella quale c’erano anche i Messina e poi assolto quasi completamente dopo anni di calvario e sberleffi di tutta la città.
A sentenza di quasi-assoluzione ancora “calda”, cosa è successo negli ovattati saloni dello Yacht Club, del quale Giovanni Novi è stato dieci anni presidente e molti della famiglia Messina soci di alto lignaggio per il nome e per le barche ormeggiate sotto quei luccicanti saloni? Che due figlie della famiglia, Fernanda e Rossella, nate da Giorgio, recentemente scomparso, uno dei più diplomatici della dura dinasty, sono state impallinate nel voto di accettazione per diventare socie del club e poter quindi frequentare il circolo e occuparsi della barca stupenda, , il panfilo del loro amato padre, il Xargos, di 36 metri, ormeggiato quasi davanti alla porta della sede, in prima fila.
Impallinate? Nella votazione per l’accesso allo Yacht Club, un traguardo mancato da molti illustri noti nella storia gravida di Genova, come Faruk, re di Egitto o come Alcide Rosina, armatore potente e ex presidente Finmare, le sorelle Messina hanno ricevuto un niet perfido: settanta palline nere contro i 560 voti bianchi favorevoli. Una pallina nera cancella otto palline bianche.
Risultato che fa gridare allo scandalo: le figlie dei Messina non entrano nel Circolo, non solo, ma i soci che le hanno presentate, e cioè in primis Ignazio, il nuovo leader del potente gruppo, come è la prassi, dovranno alzare le vele anche loro e dimettersi. Come potrebbero restare dove hanno “impallinato” le loro strette parenti, innocenti vittime di un perverso gioco di rivalse, silurate perchè hanno quel nome oggi in guerra come cinquecento anni fa quello dei Fieschi contro i Doria? E oggi i Messina contro i Novi, una catena di ritorsioni.
Genova assiste un po’ attonita, ma anche un po’ golosa, a questa vicenda che in realtà è più salottiera che di vero potere, ma che sottolinea l’asprezza degli scontri che stanno divorando da oltre un quinquennio il porto di Genova e soprattutto la sua più nobile classe dirigente. Altro che gli scontri tra il camallo Paride Batini, morto quasi due anni fa, dopo essere stato ingiustamente coinvolto nello stesso processo di Novi (assolto dopo morto) e l’Autorità portuale e gli stessi armatori-terminalisti, con le gru dei portuali in lunghi cortei nel centro della città e i ganci della vecchia Compagnia Culmv, sfoderati sulle barricate delle banchine, altro che le marce silenziose dei clienti del porto contro i camalli in una lotta di classe, di ideologie, di porto pubblico contro porto che voleva diventare privato e stava inabissandosi nel crak dei traffici, inizio anni Ottanta!
Qua la sfida si è svolta tra i soci in blazer blu, bottoni neri con stemma sociale, pantaloni di flanella bianca, sui tappeti rossi della sede dove si conversa a bassa voce e magari speaking english sprofondati sui divani di cuoio del club, passandosi le schede della votazione magari con un sussurro di segreta intesa: “Scegli la pallina nera!”.
Tutto nasce da quella devastante inchiesta della Procura sul porto che nel 2008 ha portato all’arresto di Giovanni Novi nell’ultimo giorno del suo mandato di presidente della Autorità portuale, dieci giorni prima che sua moglie Nucci Novi Cepellini, una grande velista e una gran donna, fosse stroncata da una malattia terribile, che divenne letale nel momento in cui i finanzieri circondavano il palazzo del porto, giù in fondo ai caruggi e la villa di famiglia sulla collina di sant’Ilario, un piccolo paradiso terrestre con vista Portofino.
Cosa aveva accelerato le indagini della Procura di Genova? Un bell’ esposto dei Messina che denunciavano il “loro” presidente di averli ricattati per ottenere un consenso a spartire i moli del porto, secondo un disegno studiato dall’Autorità dei Porto e dai suoi consiglieri, tra i quali niente meno che l’avvocato dello Stato Guido Novaresi e il superprofessore di diritto e grande avvocato Sergio Carbone. Uno sfracello: quella denuncia di fatto ammanettò Novi e mise sul banco degli imputati i più importanti armatori, dirigenti, terminalisti, funzionari del porto in una indagine che prometteva i fuochi artificiali in tutta la città, mica solo le banchine.
Nei guai finì, appunto, anche il leggendario Paride Batini, accusato di avere preso da Novi 2 milioni di euro indebitamente, per avere giustificato lavori della Compagnia con pezze d’appoggio fasulle. Uno schiaffo per uomini come i camalli e soprattutto per uno come Batini, che sarebbe morto povero, vestito del suo emblematico eskimo verde, bandiera della sua storia di comunista leninista, capace di trattare con i grandi armatori solo per far lavorare i suoi camalli.
Quando nel settembre del 2010, dopo quasi tre anni di ludibrio, la sentenza del Gup ha capovolto quasi completamente quelle accuse di concussione, turbativa d’asta, corruzione e abuso d’ufficio e Novi con gli altri tredici imputati sono usciti dal tunnel della vergogna, i Messina sono rimasti in mezzo al porto, con il cerino in mano della loro accusa-esposto.
E il destino ha messo sulla strada della battaglia tra dinasty l’innocente domanda di ammissione allo Yacht Club delle figlie di Giorgio, Fernanda e Rossella. Chi ha armato il complotto salottiero-nautico per dare uno schiaffo alla famiglia-denunciante? Novi, che è stato il presidente dello Yacht Club per dieci anni, potente e autorevole, l’inventore delle famose Tall Ships, i raduni delle “Vele d’Epoca”, ha smentito secco con un comunicato: “Nessuna manovra contro le giovani Messina. Non c’entro con i voti “neri”, i Messina avranno pagato i loro errori.”
Il presidente attuale dello Yacht Club, Carlo Croce, figlio di Beppe Croce, il mitico ambasciatore della vela italiana nel mondo, intimo di John Kennedy, scomparso molti anni fa, si è chiuso in un doveroso silenzio. Il Circolo non è abituato a ospitare regolamenti di conti per vicende che non siano collegate alle regate, alle eleganti cerimonie che si svolgono nei salotti del Club. Peggio non poteva succedere, che la tempesta Novi-Messina si trasferisse dall’aula giudiziaria, dalla banchina portuale, dal famoso Multipurpose, il molo della maledetta spartizione che ha causato tutto, al Circolo, dove, appunto, si parla sottovoce.
E allora chi è stato?
Genova si finge scandalizzata per il troppo clamore mediatico della vicenda: in fondo una bocciatura di due aspiranti soci o socie nell’ammissione a un circolo è un fatto marginale ed ha illustri precedenti non solo allo Yacht Club, ma anche nell’altro Circolo “in” della città, il Tunnel della fantasmagorica via Garibaldi, che nautico non è ma dove molti big pretendenti soci sono stati impallinati e affondati solo perchè, magari, sgomitavano un po’ nella società genovese, così abituata a un grigio understatement.
Ma non è certo solo questione di eccesso mediatico. La bocciatura delle figlie del rimpianto Giorgio Messina, sicuramente il più acuto della ruvida dinasty, non poteva non essere registrata e non poteva non scatenare la conta segreta dei fedifraghi impallinatori e dei loro registi più o meno occulti, quelli che non hanno perdonato ai Messina le denunce pesanti. Certo: si poteva prevedere che questa tempesta sarebbe scoppiata e magari con un po’ di saggezza diplomatica, quella che manca da tempo nelle stanze di quell’antico e un po’ perduto understatement genovese, si poteva evitare lo scontro sulle due mancate socie innocenti.
E’ l’altra tempesta, quella vera, che si è abbattuta sulla Jolly Amaranto, che non si poteva evitare con le onde altre tredici metri e l’equipaggio legato sul ponte in attesa della salvezza nel mare d’Egitto a 170 miglia dalla costa.