“Casini traditore come Fini”: Bossi ha la memoria corta

 

Umberto Bossi

 

Ma guarda un po’ da che pulpito viene la predica. Umberto Bossi ha espresso la propria contrarietà all’ipotesi di un “avvicinamento” di Pier Ferdinando Casini alla maggioranza, asserendo che il leader dell’Udc è come Fini, dunque un “traditore”. Posto che il presidente della Camera non ha mai tradito nessuno ed in questa travagliata fase del Pdl esprime un punto di vista diverso da quello della maggioranza del partito che non prelude a ribaltoni o ad analoghe schifezze parlamentari, va ricordato che neppure Casini ha mai tradito. Al contrario, si è sempre dimostrato fedele agli impegni presi fino a quando, rischiando moltissimo, si è presentato da solo alle ultime elezioni politiche e la sua disponibilità a far parte di una larga maggioranza di emergenza, guidata comunque da Berlusconi proprio per non disattendere il responso elettorale, nelle drammatiche circostante presenti è altamente responsabile, tanto che il Cavaliere sta facendo i salti mortali affinché l’ipotesi prospettata dai neo-centristi si realizzi. E non perché la maggioranza abbia bisogno di impropri “soccorsi”, quanto per dare il senso di una condivisione ampia delle misure che dovranno essere prese, a cominciare dalla manovra di venticinque miliardi di euro in due anni per evitare il rischio Grecia.

Quando Bossi emette certi giudizi dovrebbe frugare nella sua memoria onde evitare brutte figure. Nel centrodestra il solo che ha veramente e platealmente tradito è stato lui. Nell’anno di grazia 1994 mandò, dopo sei mesi, il primo governo Berlusconi a gambe all’aria, complice l’avviso di garanzia emesso a mezzo stampa dalla Procura della Repubblica di Milano a carico del premier mentre presiedeva a Napoli un vertice internazionale sulla lotta alla criminalità. Il leader della Lega ha dimenticato il “patto delle sardine” stipulato con D’Alema, le accuse a Berlusconi delle peggiori nefandezze, i veri e propri insulti rivolti all’allora capo del governo ed alla sua maggioranza. Così come ha rimosso la vittoria elettorale regalata a Prodi nel 1998 rifiutandosi di presentare liste insieme con il Polo delle libertà. Poi è cominciata la lunga marcia verso il centrodestra culminata nel trionfo elettorale del 2001, non tanto motivata da ragioni ideali, ma perché il Carroccio, dopo tanto sbraitare, si rese conto finalmente che da solo poteva soltanto perire.

Quel che è accaduto dopo, compresa l’erosione di voti al Pdl da parte della Lega, è ascrivibile ad una strategia scaltra, per non dire altro, perseguita da Bossi al punto di diventare il vero dominus della coalizione. Berlusconi promette che lo convincerà. Ma dovrà convincere innanzitutto Casini a collaborare, sia pure dall’esterno o in altre forme che comunque non prevedano l’ingresso diretto dell’Udc nel governo. Dopo le bordate leghiste tutto è più complicato. E la tempesta che si è abbattuta sul centrodestra non può restare senza conseguenze.

Berlusconi, che ne ha piene le scatole, come lui stesso ha ammesso, degli affaristi di cui è circondato, ha la necessità di fare pulizia nel partito e nel governo. Le mele marce fanno presto ad infettare anche quelle sane se non si gettano via tempestivamente. Lui lo sa bene e non può permettersi tempi lunghi per agire di conseguenza. Ne va della sua credibilità e della stabilità dell’esecutivo oltre che della maggioranza le cui interne fibrillazioni paralizzano oggettivamente l’azione politica.

Il Cavaliere dovrà poi risolvere una volta per tutte il contenzioso con Fini. Non può permettersi il logoramento e, dal momento che le elezioni anticipate non sono all’ordine del giorno, non ha altra scelta se non quella di trovare un accomodamento minimo che non vuol dire resa. Il presidente della Camera, dal canto suo, dovrà esplicitare il suo disegno strategico e mettere tutti a  conoscenza del tipo di opposizione che intende svolgere, con la lealtà che sempre l’ha contraddistinto (checché ne dica Bossi) e con la franchezza che è uno dei tratti distintivi del suo carattere.

Infine, Berlusconi non può sottrarsi al compito più ingrato (per lui): mettere mano alla riorganizzazione del partito in periferia soprattutto, facendosi consigliare da chi non ha interessi da difendere a parte quello di rinsaldare il centrodestra dove si sta pericolosamente slabbrando. Ciò che è accaduto in Alto Adige, la controversa formazione delle Giunte regionali in Campania e nel Lazio – soltanto per fare alcuni esempi – non depongono a favore di un’organizzazione politica che ha responsabilità di guidare l’Italia.

In tre mosse il Cavaliere si gioca il suo avvenire e quello del Pdl. Dalla sua ha ancora un grande seguito appena scalfito dalla vicenda Scajola. Lo utilizzi e rilanci l’iniziativa politica interna con l’indizione del Congresso nazionale del Partito preceduto dai congressi locali, provinciali e nazionali. Delle cooptazioni dall’altro, che passano anche sulla testa del leader del centrodestra, nessuno ne può più. Lui lo sa e sa anche che diadochi, vassalli, valvassori e valvassini lavorano sostanzialmente contro di lui. Magari senza farlo apposta.

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