Pdl e Berlusconi: sempre con lui, sempre al suo servizio

E’ immaginabile archiviare il Pdl senza il consenso di Berlusconi? Ruota attorno a questa domanda l’esito della battaglia finale che si sta combattendo in quello che fu il partito di raccolta dei moderati intorno al quale si sarebbe dovuto costruire un centrodestra tanto forte e coeso da ispirare addirittura la riforma del sistema politico-istituzionale.

No, non è possibile. E si illudono quanti lo pensano. Probabilmente non conoscono il Cavaliere. E’ piuttosto disposto ad assistere al naufragio (come sta accadendo) della sua creatura, e magari darle la spinta finale, che immaginare un partito senza di lui e vederlo veleggiare verso altri lidi. E’ il suo macroscopico limite, ma è anche il risultato dell’ingenuità di chi ha lo seguito fin sull’orlo del precipizio assecondandolo in ogni suo capriccio politico e non solo.

Che cosa vogliono fare gli ultimi giapponesi asserragliati a via dell’Umiltà? Rigenerare un partito morto e sepolto, che probabilmente con le sue insegne ed il suo nome neppure si presenterà alle elezioni, con le primarie, rito bislacco il cui unico esito è la balcanizzazione di ciò che resta del Pdl? E’ la disperazione che ha preso il sopravvento. E non rimane ad Alfano e compagnia bella che giocarsi questa carta inservibile a qualsiasi uso.

Dalle consultazioni prevarrà il segretario, com’è facile immaginare, ma ai gazebo si recherà soltanto l’8% degli elettori aventi diritto, secondo i più accreditati sondaggi: una percentuale miserrima considerando che il partito vale oggi il 15% e non credo che risalirà la china.

Che cosa se ne farà Alfano con le truppe disperse, l’esercito in rotta, le bande imperversanti per salvare pochi miliziani? A conti fatti sembra che alla Camera torneranno non più di ottanta deputati pidiellini, una quindicina al Senato. Almeno una parte potrebbe essere utile a Berlusconi per provare a condizionare comunque gli assetti di potere – per quanto inevitabilmente precari – grazie anche alla legge elettorale, più vergognosa del Porcellum, che assegnerebbe il consistente premio di maggioranza, necessario per assicurare la governabilità, soltanto a chi supera il 42% per cento dei voti, cioè a nessuno. Un congegno truffaldino almeno quanto lo era quello inventato nel 2005.

Berlusconi, comunque, non si farà mettere alla porta. Da chi poi? Da quelli che lui stesso ha inventato? Ma andiamo. Punterà, nella peggiore delle ipotesi, a farsi una lista tutta sua, magari con quel tale avvocato Giampiero Samorì sconosciuto ai più, ma non all’inner circle berlusconiano, della cui potenza di fuoco finanziaria ormai nessuno dubita. E poco male se il centrodestra si squaglierà come neve al sole:  il Cavaliere, come al solito, troverà il modo per non sparire in alleanza con chi oggi fa la faccia brutta e gli si contrappone con la debolissima arma delle primarie, ben sapendo che non servono a nulla.

Per una volta ha ragione Sandro Bondi, uscito dal letargo, nel chiedere l’azzeramento della classe dirigente (nessuno purtroppo gli ha detto che un’altra di riserva non esiste dopo che è stata fatta terra bruciata intorno a chi poteva dare una mano, ma disgraziatamente non faceva parte del nutrito club degli yesman…): è come al solito il modo migliore per servire a Berlusconi su un piatto d’argento quel che resta di un partito del quale può fare ciò che vuole. C’è del metodo in uscite di tal genere, bisogna convenirne.

Invece non c’è neppure della furbizia, non dico del genio, nel farsi intrappolare, come stanno facendo tutte le componenti del Pdl, in un gioco al massacro dentro una gabbia dove si dilanieranno in ossequio al principio etologico dell’aggressività che si accentua negli spazi ristretti come hanno scientificamente dimostrato, applicandosi a piccoli animali, Henry Laborit, Robert Ardrey e Konrad Lorenz. E’ questa la fine più probabile del Pdl.

Peccato che nessuno ha detto ai maggiorenti del Pdl, quando si ritenevano invincibili anche se l’impero berlusconiano traballava, che c’è bisogno di idee, di progetti, di programmi per conquistare il consenso della gente. Non sono gli organigrammi, né gli espedienti come le primarie (peraltro indette in ritardo, organizzate male e senza la necessaria convinzione) a galvanizzare l’elettorato deluso, arrabbiato, abbandonato. Ma soprattutto qualcuno avrebbe dovuto capire che i partiti, anche in un’epoca di decadenza politica, non nascono come funghi in autunno, né davanti ad un notaio che ne certifichi l’esistenza in vita con un timbro su un foglio di carta bollata.

Adesso è tardi. Chi ha voglia ricominci daccapo ed investa il suo tempo per costruire un moderno e credibile fronte dei conservatori. Altri prendano pure un areo per Malindi, un posto al ritorno lo troveranno comunque. E si rilassino scoprendo la bellezza e la purezza delle spiagge bianche, del mare blu ed i tramonti colorati kenyoti lasciandosi avvolgere nella dolce malinconia di una “mia Africa” da cummenda. Palazzo Grazioli è diventato tetro.

 

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Marco Benedetto