Fake news, in nome del politicamente corretto, sul Parlamento incombe il fantasma di Joseph McCarthy. C’è un virus, molto più pericoloso del Covid19. Sta invadendo l’occidente. Rischia di diventare mortale per quei valori di libertà e tolleranza che sono alla base della civiltà occidentale. Si decapitano le statue di Cristoforo Colombo, si imbrattano quelle di Winston Churchill. Anche noi, per non farci mancare queste piacevolezze, processiamo la statua di Indro Montanelli.
Tutti rei di essere stati razzisti e schiavisti. Si toglie dal mercato la distribuzione di film come “Via col vento”. Si impedisce la visione negli Stati Uniti di quelli di Woody Allen, marchiato con l’accusa di pedofilia, benché sempre assolto dai tribunali.
Si ritirano dal mercato cioccolatini. Il loro nome potrebbe ferire la sensibilità cosmopolita di qualcuno. Si diffonde in tutto l’occidente un clima di soffocante intolleranza all’insegna del “politicamente corretto”.
Poiché non siamo secondi a nessuno nello scimmiottare le pessime abitudini, ecco che sull’onda della “buone pratiche” arrivano ora in Parlamento ben tre proposte di legge, tutte con il nobile scopo di fronteggiare e combattere le fakenews e i cosiddetti “discorsi dell’odio”.
Una di queste proposte è firmata da Emanuele Fiano e da un nutrito numero di parlamentari del PD. Un’altra da Maria Elena Boschi, in nome dei parlamentari di Italia Viva, un’altra ancora da Paolo Lattanzio del Movimento 5Stelle e Federico Mollicone di Fratelli d’Italia.
Che cosa chiedono tutti costoro? Di istituire una commissione interparlamentare di indagine. Cosa dovrebbe fare questa commissione, così unanimemente voluta? Lo leggiamo nell’art. 1 della proposta Fiano.
Indagare sulla diffusione intenzionale e massiva di informazioni false o fuorvianti attraverso la rete internet.
Verificare se la disinformazione online possa essere imputata a gruppi organizzati o a Stati esteri.
Verificare se e in quale modo la disinformazione online sia sostenuta anche finanziariamente da gruppi organizzati o Stati esteri.
Verificare se esistano correlazioni tra la disinformazione online e i “discorsi dell’odio”. Ossia discorsi di incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, razionali o religiosi.
Verificare se e in quali casi la disinformazione online possa aver destato allarme presso la popolazione, condizionando la libertà dell’opinione pubblica o istigando campagne d’odio.
Indicare le iniziative di carattere normativo o amministrativo che la commissione ritenga idonee allo scopo di assicurare l’esatta definizione delle informazioni false; ecc. ecc.
Sembrerebbero, a prima vista, ottime intenzioni, visto che ormai siamo invasi dalle fakenews, che i giornali, come dovrebbero, non riescono a verificare, e che, a quanto pare, sono organizzate, in alcuni casi, da potenze straniere per alterare l’opinione pubblica e i risultati elettorali.
Tuttavia, la commissione, composta paritariamente da deputati e senatori, procederà nel suo lavoro “con gli stessi poteri e le stesse limitazioni delle autorità giudiziarie, può acquisire atti e documenti, anche in deroga al divieto stabilito dall’art. 329 del Codice di Procedura Penale”.
E, udite udite, “in nessun caso, per i fatti rientranti nei compiti della commissione, possono essere opposti il segreto d’ufficio, il segreto professionale e il segreto bancario”. Ci sembrano poteri eccessivi che richiamano alla mente nefaste esperienze del passato.
Ma è proprio necessaria questa commissione?
Il legislatore sta improvvidamente trascurando un piccolo particolare. Esiste nel nostro Paese e nel nostro ordinamento l’Agcom, l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, che ha tra le sue competenze, guarda caso, quella di analizzare il fenomeno delle fakenews.
Come ha ricordato al Parlamento con una sua nota, l’Autorità “ha indirizzato la sua attività ad ampio spettro su tutte le forme in cui si possono classificare i disturbi dell’informazione – “mala-informazione”, “mis-informazione” e “dis-informazione”.
In vista delle finalità di tutela del pluralismo informativo, rivolgendo, tuttavia, un’attenzione particolare alla disinformazione online”.
Se questo è il lavoro che egregiamente svolge l’Agcom, che senso ha costituire una commissione interparlamentare chiamata a svolgere le stesse indagini che effettua l’Agcom?
Non riusciamo a trovare una risposta o meglio, forse una risposta c’è. L’Agcom è un organo “tecnico”, la commissione interparlamentare è un organo “politico”, che agisce e opera perseguendo fini politici.
C’è il rischio, anzi la certezza, che questa commissione diventi uno strumento politico per la caccia alle streghe. Un tribunale di inquisizione per condannare al pubblico ludibrio avversari e giornalisti che non rispondono al “politicamente corretto”.
Chi parla male del governo può essere annoverato tra i seminatori di odio? Di questo passo temiamo di si. Facciamo appello alla ragione, una merce oggi sempre più rara. Se in Parlamento c’è ancora un barlume di lucidità sarebbe il caso di evitare di dare vita ad un’altra commissione Mccarthy.