Ormai è trascorso più di un mese dalla consultazione elettorale, ma continuiamo a muoverci in una nebbia sempre più fitta, che non lascia intravvedere quale possa essere la soluzione per la formazione del nuovo Governo.
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Tutte le forze politiche in campo contribuiscono ad alimentare questa nebbia, non sapendo neanche loro come uscirne. In altri termini, prosegue la campagna elettorale e nessuno degli attori vuole prendere atto che è da tempo finita. Sino al 5 marzo, ogni partito e ogni schieramento vantava la propria imminente vittoria e si candidava alla guida del Paese. Di Maio era il candidato premier del Movimento grillino, Renzi/Gentiloni erano i candidati del Partito Democratico, nella coalizione di centro-destra il candidato premier era assegnato al partito che avrebbe preso più voti all’interno della coalizione.
Questo schema, perfetto per la campagna elettorale, non può più continuare ad essere valido a urne chiuse. I candidati premier erano tali ad una condizione: che il rispettivo partito o la rispettiva coalizione avessero ottenuto la maggioranza dei seggi parlamentari. Così non è stato ed è da questa constatazione che occorre ripartire se si vuole veramente individuare una soluzione che assicuri un Governo al Paese.
Per recuperare il bandolo della matassa nella nebbia che continua a crescere è necessario partire da alcuni dati certi. Il primo, che dovrebbe essere scontato, ma così non appare, è che nessun partito e nessuna coalizione hanno vinto le elezioni. Corollario di questa constatazione è che se si vuol fare un Governo, dovrà essere un Governo di coalizione tra forze politiche che in campagna elettorale si sono tra loro contrapposte. Il secondo elemento da tener presente è che, poiché nessun partito ha vinto le elezioni, tutte le candidature alla Presidenza del Consiglio sbandierate nella campagna elettorale e anche in queste settimane successive devono intendersi automaticamente decadute. Non ci sarà un Governo presieduto da Di Maio, né tanto meno un Governo presieduto da Salvini. Questi sono i dati di fatto da cui partire se si vuole arrivare a dare un Governo all’Italia.
Ancorché cosi semplificato, il percorso non è certamente facile. Il Movimento grillino guidato da Di Maio ha da sempre impostato la sua presenza politica nell’ambito di una visione totalitaria della democrazia. Scendere a patti con altri partiti intaccherebbe questo principio che ne costituisce il dna. Dall’altra parte il capo della Lega sa benissimo che la forza negoziale del suo partito gli deriva esclusivamente dal fatto di essere alla guida di una coalizione che, in quanto tale, può vantarsi di essere arrivata prima nelle elezioni. Fuori da questa coalizione Salvini sa che il suo partito conterebbe politicamente molto poco. Resta, per ora, ai margini la posizione del Partito Democratico, che fatica a liberarsi dalla ipoteca renziana di un obbligo-dovere di collocarsi all’opposizione.
L’affermazione: chi ha vinto governi, non ha alcun senso, poiché non ha vinto nessuno. Quando il Pd prenderà atto di questa verità, si renderà conto che il suo ruolo può essere ancora decisivo per garantire la governabilità del Paese.