Molto probabilmente, Emmanuel Macron vincerà al secondo turno le elezioni nella corsa alla presidenza della Francia. Molto probabilmente. Ma non certamente. Con la sua posizione a cavallo di un liberalismo pragmatico, la sua nuova formazione politica ha cannibalizzato al primo turno il partito socialista ed eroso parte dell’elettorato repubblicano neogollista. Ciò nonostante Macron ha ottenuto soltanto il 23,7% dei suffragi. Al secondo posto, tallonandolo, si è piazzata Marine Le Pen con il 21,5% dei voti. Come si comporterà l’elettorato francese al ballottaggio?
Non vi è alcun dubbio che coloro che hanno votato Macron e Le Pen al primo turno continueranno a sostenerli. Ma il resto degli elettori? Quasi certamente, chi ha votato Dupont-Aignan, il candidato dell’estrema destra sovranista, voterà con convinzione per Le Pen. Si tratta di ben il 4,7% dell’elettorato. È anche probabile che parte dell’elettorato di estrema sinistra, dichiaratamente antieuropeista, sia invogliato a votare Le Pen.
Tutto dipende, perciò, da come si orienterà l’elettorato di Fillon che ha ottenuto un consistente 19,9% e il residuo 6% dell’elettorato socialista. Può essere che buona parte di questi elettori convergano su Macron, che appare il candidato a loro più vicino. Ma questo non è un dato certo. Chi ha votato Fillon, come chi ha votato il socialista Hamon, ha voluto chiaramente affermare di non essere minimamente affascinato dal nuovismo di Macron e di voler mantenere fede alla propria tradizione repubblicana o socialista. Non è, perciò, da escludere che nell’attribuire il fallimento dei rispettivi partiti di appartenenza alla presenza di Macron, continuino a voltargli le spalle nel secondo turno. Non è neanche da escludere che parte di questo elettorato preferisca, a questo punto, votare Le Pen. Ma è anche molto probabile che parte di questo elettorato si asterrà dall’andare a votare e se l’astensione sarà alta l’ipotesi di una vittoria della Le Pen non è da scartare.
La Francia rischia molto. I francesi corrono il rischio di affidare la guida del loro Paese ad una formazione politica antieuropea e razzista che oggi ha il consenso di soltanto il 21,5% degli elettori. Tutto ciò è possibile grazie al sistema elettorale francese. Semipresidenzialismo, doppio turno elettorale e ballottaggio delineano un’architettura dei meccanismi elettorali che, nelle intenzioni di chi la ha voluta, era tesa a garantire stabilità. Il meccanismo ha funzionato fino ad oggi, premiando i partiti tradizionali di centro-destra e di centro-sinistra che si sono alternati alla guida della Francia. Oggi, però, non è più cosi. La crisi delle ideologie e dei partiti tradizionali ha colpito anche la Francia e un elettorato smarrito e senza punti ideali di riferimento tenta di trovare la soluzione ai propri problemi quotidiani nella fuga verso la contestazione e l’estremismo.
È questo il vero interrogativo che deve porre anche a noi il confronto elettorale francese. È sciocco, inutile e fuorviante trovare similitudini, come ha fatto buona parte della stampa italiana, tra i leader italiani e quelli francesi. È sul meccanismo elettorale francese che le forze politiche italiane dovrebbero riflettere nel momento in cui si accingono a discutere ed approvare una nuova legge elettorale per l’Italia. La lezione che ci viene dalla Francia è questa: alchimie e marchingegni volti a inseguire la chimera della stabilità, alterando il principio di rappresentatività, possono dischiudere le porte a pericolose avventure. Formazioni politiche, anche eversive, che raccolgono un quarto dei voti dell’elettorato, possono conquistare il governo del Paese.