Quando lunedì scorso, con il rifiuto di nominare Paolo Savona Ministro del Tesoro, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha fatto fallire, all’ultimo momento, il tentativo [App di Blitzquotidiano, gratis, clicca qui,- Ladyblitz clicca qui –Cronaca Oggi, App on Google Play] di un governo giallo-verde, la rete è stata invasa da migliaia di #iostoconmattarella, convinti che l’incubo di un governo populista si fosse dissolto grazie al gesto del Presidente, che con quel suo atto di fermezza aveva evitato l’invasione degli hyksos. In quella occasione tentai, spero più razionalmente, di esaminare con freddezza la situazione e di individuare quali sarebbero state le conseguenze di quel rifiuto, concludendo con la domanda: ne valeva la pena?
Evidentemente, su cosa sarebbe accaduto, anche il Presidente Mattarella deve aver riflettuto con attenzione. La conseguenza è stata la frettolosa archiviazione del governo Cottarelli, il richiamo al Quirinale dell’ “avvocato del popolo” e il varo del governo Lega-5Stelle, fotocopia del precedente, con una sola modifica: la retrocessione di Paolo Savona dal Ministero (con portafoglio) del Tesoro a quello (senza portafoglio) degli Affari Regionali. Era il massimo che Salvini poteva concedere ed era il minimo che Mattarella poteva accettare.
Una soluzione di compromesso, però, che, se garantisce un governo al Paese, lascia in piedi tutti gli interrogativi sui contenuti dell’ormai famoso “contratto” sottoscritto dai due partner di governo, oscurati in questi giorni dalla inutile diatriba su Paolo Savona.
Da europeista convinto resto dell’opinione che la presenza in primo piano nella compagine governativa di Savona sarebbe stata una migliore e maggiore garanzia proprio per chi crede nell’Europa.
Oggi, con il giuramento del governo Conte si apre una nuova stagione della politica italiana, gravida, tuttavia, di molteplici incertezze. Il programma di governo è pieno di promesse contraddittorie, che non potranno mai essere attuate, se non marginalmente e con risultati effimeri. C’è anche da dubitare sulla convivenza ai vertici del governo di due leaders di partito, entrambi in permanente campagna elettorale, che continueranno a farsi concorrenza dai banchi governativi. Ma probabilmente, nasceranno anche questioni di metodo, oggi coperte dall’euforia della vittoria. Accetterà il Presidente Conte di essere limitato e controllato nei suoi poteri? Accetterà Paolo Savona di svolgere un ruolo minoritario all’interno del governo? Per quanto tempo reggerà l’equilibrio tra “i professori” e “i politici”? Sono tutte domande a cui i prossimi mesi daranno una risposta. Ma la questione centrale resta quella della difesa degli istituti della democrazia.
Il populismo, e il governo Conte ne è oggi massima espressione, non è altro che il continuo appellarsi al popolo e dare indicazione di soluzioni semplicistiche per affrontare problemi sempre più complessi. Il populismo è la negazione della democrazia liberale, che si basa sulla divisione, separatezza ed equilibrio dei poteri, sulla tutela dei diritti delle minoranze e di cui il Parlamento proporzionalmente rappresentativo di tutti i cittadini, ne costituisce il motore. Per il populismo il Parlamento è, invece, una inutile sovrastruttura, il popolo è il soggetto politico e di conseguenza il diritto di governare spetta al suo rappresentante. Dal rappresentante del popolo all’autoritarismo il passo è breve. Abbiamo già vissuto, nella prima metà del XX secolo, l’esperienza dei populisti al governo: i risultati sono stati catastrofici e il mondo intero è piombato in un conflitto senza precedenti. Oggi, i populismi si riaffacciano sulla scena politica. La Turchia, la Russia e l’Ungheria sono già modelli di democrazia plebiscitaria, ovvero il contrario della democrazia liberale.
Chi può contrapporsi in Italia alla deriva populista oggi al governo? Forse nessuno se non pochi e tra questi non certamente coloro che con una improvvida modifica della Costituzione hanno tentato di intaccarne i valori fondanti, aprendo la via alla demagogia populistica.