ROMA – Domenica 29 marzo gli italiani saranno chiamati a esprimersi sul taglio del numero dei parlamentari. Non ci sarà bisogno di raggiungere il quorum della metà più uno degli aventi diritto al voto per la sua validità e, di conseguenza, il risultato referendario, qualunque sia il numero dei partecipanti, sarà definitivo. E’ questo il primo motivo che deve indurre tutti gli italiani ad esercitare, più che mai in questa occasione, il loro diritto di voto.
L’art. 56 della Costituzione stabilisce che il numero dei deputati è di 630, mentre il numero dei senatori elettivi è di 315. Con la modifica costituzionale oggetto del referendum si vuole ridurre il numero dei deputati a 400 e quello dei senatori a 200.
Ma perché la Costituzione del 1948 ha voluto fissare il numero dei parlamentari, sia per la Camera che per il Senato? E’ questa la prima domanda alla quale dobbiamo rispondere. E’ di tutta evidenza che il legislatore costituente, nel momento in cui definiva l’architettura costituzionale di una repubblica parlamentare, si era posto l’obiettivo di individuare un rapporto tra popolazione e rappresentanza parlamentare che garantisse un’adeguata rappresentatività del Parlamento, in quanto cuore della democrazia rappresentativa.
Nel corso degli anni, per effetto dell’aumento della popolazione, questo rapporto si è notevolmente alterato. Gli aventi diritto al voto, che elessero il primo Parlamento repubblicano nel 1948, erano poco meno di 30 milioni. Gli aventi diritto al voto il 4 marzo 2018 sono stati poco più di 46 milioni. E’, perciò, inconfutabile che ci sia già stata una penalizzazione del principio di rappresentatività, così come era stato individuato dai costituenti.
Se questo dato è inconfutabile, non vi è alcun dubbio che una riduzione ulteriore del numero dei parlamentari, così come vuole la riforma sottoposta a referendum, costituirebbe una nuova ulteriore pesante alterazione del rapporto di rappresentatività, con il risultato che verrebbe messo in crisi lo stesso principio fondamentale su cui si basa un regime di democrazia parlamentare, quale è il nostro.
Perché, allora, si vuole ridurre il numero di deputati e senatori?
Il Movimento 5 Stelle non ha mai nascosto che questo sia il suo unico obiettivo: passare da un regime democratico parlamentare ad un regime plebiscitario. Questo obiettivo si raggiunge delegittimando il Parlamento, sostenendo che si tratta di un poltronificio che impedisce il rapporto diretto tra cittadini e Governo. Il Parlamento sarebbe, a loro giudizio, una inutile e costosa sovrastruttura di intermediazione, oggi facilmente eliminabile grazie all’utilizzo della piattaforma Rousseau. Non dimentichiamoci che il loro motto elettorale nel 2018 è stato, non a caso: “Dobbiamo scoperchiare il Parlamento come una scatoletta di tonno”.
La presenza maggioritaria dei 5Stelle in questa legislatura ha finito per condizionare in tal senso le forze politiche chiamate alla formazione del Governo. Il Governo giallo verde, che ha colorato la prima fase della legislatura, aveva tra i suoi punti programmatici la riduzione del numero dei parlamentari. Il Governo giallo rosso, che ne è seguito, è stato reso possibile dalla supina accettazione da parte del PD del ricatto dei 5Stelle. Dopo aver per ben tre volte votato contro la riduzione dei parlamentari, il PD, in quarta lettura, ha votato a favore!
Una delle motivazioni di facciata portata avanti dal populismo grillino è quella che sostiene che la riduzione del numero dei parlamentari porterebbe un beneficio economico per le casse dello Stato. Si tratta di una motivazione ridicola. Il risparmio (calcolandolo per eccesso) sarebbe dello 0,005% del debito pubblico! Una cifra decisamente insignificante.
Ma, attenzione, questa è anche una motivazione estremamente pericolosa. Se ragionassimo in termini di risparmio potremmo anche chiedere l’abolizione dell’intero Parlamento, il risparmio sarebbe decisamente molto più consistente.
Un’altra giustificazione sarebbe quella che anche nel resto del mondo i parlamenti nazionali avrebbero un minor numero di parlamentari. Anche questa è una motivazione insignificante e, comunque, non corrispondente alla realtà.
Peraltro, molti costituzionalisti sostengono che in questa riforma ci siano gravi elementi di incostituzionalità. Nell’attribuzione dei senatori, per esempio, nelle due province del Trentino Alto Adige basterebbero 171 mila voti per eleggere un senatore, mentre nel Friuli Venezia Giulia ce ne vorranno 304 mila, con la conseguenza che il Trentino Alto Adige, con un milione di abitanti, potrà avere più seggi del Friuli Venezia Giulia, della Sardegna e della Liguria. Un’evidente violazione dell’art. 3 della Costituzione sulla parità dei diritti dei cittadini.
Ma, la questione centrale su cui i cittadini italiani devono riflettere con attenzione non è se e quanto si riduca il costo dello Stato, né se il numero dei parlamentari sia sufficiente, eccessivo o inadeguato. La questione principale è un’altra. Si vuole difendere il regime di democrazia liberale rappresentativa disegnata nella Costituzione del ’48? O si vuole intaccare la Costituzione, per portarla verso quella pericolosa deriva plebiscitaria (eleggiamo direttamente il Presidente della Repubblica!, eleggiamo direttamente il Sindaco di Roma!), mai sopita e oggi alimentata dal populismo pentastellato?
Questo è il vero interrogativo referendario. Questa riforma è un attacco al cuore della Costituzione del ’48. Mi sembra una buona motivazione per votare NO!