
Giorgia Meloni prima della lista (da giustiziare?) delle femministe in corteo contro i femminicidi
Giorgia Meloni prima della lista (da giustiziare?) delle femministe in corteo contro i femminicidi.
L’altra mattina per le strade di Roma è sfilato un lungo corteo di donne che gridava a gran voce un accorato “no” al femminicidio ed alla violenza sul genere a cui appartenevano e appartarrengono.
Giusta a sacrosanta sfilata. Senonchè ad un tratto (ma forse già organizzata) la manifestazione ha avuto come una svolta e si è tramutata in un comizio contro la signora che siede sulla poltrona di Palazzo Chigi.
“Meloni fascista sei la prima della lista”.
Slogan tipici di quei gruppi di estrema sinistra che tanti danni hanno provocato nel nostro Paese. Le ingiurie sono state diverse e sono continuate per parecchio tempo. Per quale ragione? Senza dubbio politica, ma c’è chi critica i nostri parlamentari che a volte (per non dire spesso) usano un linguaggio non proprio consono (usiamo un eufemismo) e poi fuori del Palazzo si seguono i cattivi esempi.
Strane queste fenniniste! Vi domanderete perché. Ebbene quando Giorgia Meloni ha avuto dal presidente della Repubblica l’incarico di guidare il Paese (prima donna in Italia) e quando ella stessa ha accettato ed ha formato l’esecutivo, non c’è stata nessuna di queste signore che abbia applaudito o abbia pronunciato l’avverbio “finalmente”.
Per anni la loro protesta ha messo il dito sulla disparità di genere, ma nel momento in cui una donna è diventata premier, nessuna voce al femminile si è levata per congratularsi con il presidente del Consiglio. Carica che in molti altri Paesi europei si è già raggiunta, ma che tardava ad arrivare in Italia.
Singolari queste femministe perché quando è iniziato il processo contro lo scrittore Roberto Saviano, reo di aver profferito il sostantivo “bastarda” alla Meloni nessuna ha protestato per “il modo” con cui si è comportato il protagonista di questo episodio.
Non vogliamo entrare nel merito del processo, spetterà alla magistratura giudicare chi ha ragione e chi torto. Non è questo l’argomento di cui desideriamo dibattere. Possibile che quando anche un piccolo insulto è diretto ad una simpatizzante della sinistra (ripetiamo simpatizzante non parlamentare), si scatena subito il putiferio e sui social arrivano decine di interventi pronti a condannare chi si è permesso di usare sostantivi o aggettivi del genere?
In quel caso chi si indigna ha ragione ad alzare la voce e ad inveire contro chi si è permesso di profferire certe parole. Sarebbe auspicabile però non usare due pesi e due misure. È democraticamente scorretto, spiegherebbe qualcuno.
Però a dire il vero, le femministe (almeno quelle che hanno partecipato alla manifestazione di Roma) non si sono nemmeno sognate di distinguersi essendo contrarie a questo genere di linguaggio e di violenza verbale. No, assolutamente no. Eppure ci sarà stata una donna, magari una sola, che dissentiva o non voleva accomunarsi alla minaccia. Niente,
Per paura? Forse. Per non sentirsi isolata e considerata una “nemica” della maggioranza della piazza? Chissà. Rimane il fatto. E si deve dire che pure tra i politici non c’è stato il coro di no che ci sarebbe stato a parti invertite. Insomma, grazie a Dio, in Italia esiste chi guida il Paese e chi sta all’opposizione. Si può anche criticare l’operato degli avversari politici, ma sempre senza valicare i limiti della decenza.
Le femministe “romane” (vogliamo specificare quelle che l’altra mattna erano presenti nelle strade della Capitale) non hanno seguito questi princìpi basilari di un Paese civile. Fino a dire che Giorgia Meloni considerata “fascista” doveva essere la prima della lista. Di quale lista e fino a che punto si sarebbe potuto arrivare?