Giustizia. Troppi arresti, detenuti (66.000), reati (35.000) e sotto organico

Il discorso del Primo Presidente della Corte di Cassazione sullo stato della Giustizia in Italia rappresenta un appuntamento rilevante, tanto più in quest’anno segnato dalla crisi economica e giudiziaria. Ernesto Lupo, dotto giurista ed ingegno concreto, ha delineato la situazione ad ampio spettro, non trascurando né le speranze o i risultati ottenuti, né le molteplici criticità.

Ha esordito con un sensato invito, per la prossima legislatura, a dispiegare forze convergenti: “Contributi responsabili alla ricerca d’intese” per ridefinire l’assetto istituzionale. E’ stato un acuto richiamo ad abbandonare la Giustizia come tema di scontro parlamentare e a consigliare i futuri legislatori a ritrovare quella unione di intenti e di ideali che, sola, potrà evitare un intollerabile stallo del presente.

Ha formulato lodi per le due riforme delineate dal ministro Paola Severino: il riassetto delle circoscrizione giudiziarie e la legge anti-corruzione. Il primo radicale cambiamento, definito “storico”, secondo il Presidente va attuato per evitare la dispersione di uomini e risorse in piccoli centri ed ottenere una maggiore e, si spera, più efficiente concentrazione dei Tribunali. Non ha nascosto che quest’ultima modifica produrrà ostilità e resistenze localistiche, ma auspica che gli effetti positivi possano essere imminenti. Quanto alla legge anti-corruzione, pur dettosi in attesa di un’analisi più precisa, la ha qualificata come dimostrazione della volontà di attuare finalmente una incisiva azione di contrasto al malaffare nel Paese.

Si è poi occupato, come d’uso, delle statistiche: la giustizia civile, a suo parere, avrebbe risentito benefici dal breve esperimento della mediaconciliazione; sennonché il numero delle pendenze risulta impressionante e supera i cinque milioni di processi, ancorché si sia contato un loro calo: un impegno irrinunciabile per il nuovo Governo. E’ ovvio che il ritardo nel funzionamento della giustizia civile è una piaga che va a carico di qualsiasi cittadino e che – in tempi di crisi – rende deteriore e più incerta persino la situazione sociale.

Il Presidente Lupo ha definito drammatica la situazione carceraria, nonostante i provvedimenti assunti. Ha ricordato, con amarezza, l’ultima condanna subita dall’Italia che ordina di trovare una soluzione al problema (65.701 detenuti, tra cui 18.661 “in esubero”) entro un anno, sia con misure individuali che generali. Coraggiosamente ha denunciato che i permessi premio concessi ai detenuti nell’ultimo anno sono stati pochi, pur rappresentando il primo passo per il loro reinserimento sociale (lo scopo della pena carceraria, secondo la Costituzione).

Ha invitato, in accordo con la Corte Europea e la Raccomandazione del Consiglio dei Ministri – i singoli magistrati a far attento ricorso alla custodia cautelare e maggiore alle misure alternative alla detenzione. Sulla custodia preventiva è stato molto fermo, e le sue parole aderiscono al principio della extrema ratio, nel senso che va applicata soltanto ove qualsiasi altro strumento si riveli concretamente inutile. Va apprezzato anche il fatto che si sia rivolto unitariamente ai magistrati responsabilizzando ciascuno sul proprio operato.

Accorato nel computare la durata dei processi penali e, soprattutto, i rischi di prescrizione in appello, una fase che, secondo i calcoli, ha una durata statistica minima di 900 giorni, assolutamente incompatibile con i parametri di Strasburgo. Questo dato, pur eclatante, spero non venga sfruttato dai molti fautori dell’abolizione del secondo grado di giudizio in Italia, che pur sempre rappresenta un ineludibile baluardo garantista. Le misure per ridurre i tempi andranno, secondo me, trovate con altri accorgimenti.

Un interessante – e da plaudire – argomento è stato trattato nella Relazione con il conteggio del novero dei reati previsti in Italia: 35.000. L’opinione del Primo Presidente è netta e, a mio parere va largamente condivisa: sono troppi. Sarà un’opera enciclopedica, ma certamente occorrerà, quanto prima, attuare una vasta depenalizzazione, secondo parametri definiti e noti: abrogare le fattispecie bagatellarie e quelle che non rispondono ai criteri di stretta offensività e necessità della risposta penale.

Infine, ha ricordato che, secondo la Corte europea e Strasburgo, nella legislazione italiana si deve introdurre il delitto di tortura, non essendo le norme di cui si dispone al momento, rispondenti alla gravità del fenomeno.

Un richiamo severo ha riguardato l’organico della Corte di Cassazione, che, sottodimensionato del 24%, desta impressione, così come le lapidarie parole del Presidente che ha descritto la Corte come “una macchina di produzione di sentenze, che mortifica e svilisce la sua funzione”. Si spera che questa constatazione sia accolta nella prossima legislatura, non richiedendo né invenzioni, né sforzi titanici.

Infine, il Primo Presidente si è rivolto alla autodisciplina dei magistrati, invitandoli a non candidarsi alle elezioni nei distretti in cui hanno esercitato le loro funzioni. Argomento questo sicuramente meditato a lungo dal Presidente, ma da trattare in numerose sedi per evitare da un lato di comprimere i diritti di una classe di cittadini e dall’altro di evitare strumentalizzazioni del munus rivestito a fini politici.

 

 

 

 

 

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Marco Benedetto