
Il 24 di maggio รจ stato festeggiato (?), ricordato (?), celebrato (?), commemorato l’ingresso dell’Italia nella prima guerra mondiale, la Grande Guerra. Era appunto il 24 maggio 1915 e cento anni dopo esatti l’Italia non ha saputo con esattezza se voleva festeggiare o ricordare o celebrare o commemorare e, nell’incertezza, ha fatto una insalatona mista degli umori civili possibili, compresi quelli, abbastanza meno civili, dello scendere ancora oggi nelle trincee dei nazionalismi irriducibili, anche dalla storia.
La Grande Guerra: l’Italia avrebbe da cento anni una data per festeggiare, festeggiare la vittoria. Ma il 4 novembre, festa della vittoria, apparve all’Italia democratica antifascista e di sinistra un concerto di fanfare militaresche che suonavano la musica della destra. Si poteva festeggiare a pieno una vittoria militare in un paese diventato pacifista piรน che pacifico? Si poteva festeggiare quel che aveva festeggiato il fascismo? Cosรฌ l’ipocrisia politicamente corretta (?) pian piano declassรฒ la festa a festa delle Forze Armate e piรน sul generico si stava e meglio era. Quindi la vittoria in guerra, praticamente l’unica della nostra storia, si poteva dire e non dire, un po’ imbarazzava.
Allora una data per ricordare, magari appunto quella della fine della guerra? A parte il fatto che coincideva con la vittoria, ricordare proprio tutto non era un grande affare. Nel 1915 l’Italia entrรฒ in guerra dopo aver mercanteggiato con Francia e Inghilterra da una parte a Austria e Germania dall’altra. L’Italia teneva una sorta di banco e chiedeva: chi offre di piรน in termini di territorio da assegnare all’Italia e ai Savoia regnanti? Alla fine offrรฌ di piรน Londra e per questo e al fianco di Londra e Parigi l’Italia entrรฒ in guerra rovesciando un’alleanza sottoscritta con Austria e Germania. Da allora in generale non si fidano piรน tanto di noi quando si spara.
Non solo se per gli altri paesi e governi giร in guerra dal 1914 poteva stare in piedi l’esile, molto esile, alibi dell’illusione di una guerra breve nel tempo e relativamente sanguinosa, quando l’Italia fa la sua mossa รจ giร chiaro di cosa davvero si tratta: un macello di eserciti e di popoli. Quindi a ricordare proprio tutto tutto si fa un po’ di fatica.
Restava, รจ rimasto il celebrare/commemorare. Ma anche qui dissociazioni, imbarazzi, provocazioni. E pagliacciate. I Comuni che in Alto Adige non espongono il tricolore o lo fanno a mezz’asta come si fa quando c’รจ il lutto, la milizia (per niente folkloristica sudtirolese che si arruolรฒ in massa e con entusiasmo nelle Ss naziste e che ci ha tenuto a far sapere che loro insomma sono…fedeli alla tradizione, Matteo Salvini che va sul Piave a sovrapporsi al “non passa lo straniero”…
Un paese bambino, anzi infante, anzi mal cresciuto. Senza la schiettezza e la drastica semplicitร dei bambini, senza la genuinitร ingenua degli infanti. E pieno di mezze astuzie, ingolfato dai non detto, dalle mezze veritร , inacidito dal suo non saper elaborare nรฉ condividere storia. Un paese adulto e serio e rispettoso di sรฉ e degli altri non festeggia nรฉ celebra una entrata in guerra, festeggia invece la vittoria in guerra, studia e riflette e fa patrimonio comune, insegna come e perchรฉ entrรฒ in guerra e se qualcuno ne ha approfitta per fare propaganda separatista o per fare un ciao-ciao elettorale francamente, unitamente, repubblicanamente li disapprova e li mette al loro posto, in un angolo appartato dove alle ricorrenze si mettono i parenti fuori di testa e quindi di modi.