Nel Lazio esiste, unico caso in Italia, una banca regionale, la BIL, e un suo doppione minore, Unionfidi. In una riunione nel 2006, alla presenza dell’allora presidente della regione Marrazzo, il presidente di Sviluppo Lazio indicò nella creazione della banca, che aveva appena avuto dal Governatore Fazio l’autorizzazione ad operare, la innovazione fondamentale per la politica regionale. L’obiezione che nessuna regione in Italia avesse sentito il bisogno di approntare uno strumento del genere non ebbe seguito. E si sostenne che questa scelta avrebbe consentito di approntare una struttura capace di sviluppare una enorme leva finanziaria (si parlò di 1 a 20) sulle risorse destinate agli investimenti regionali. In verità per molto tempo la banca restò sostanzialmente inattiva (e si pensò anche di venderla). Poi hanno prevalso gli interessi delle banche socie (BNL, Unicredit, Intesa san Paolo e BCC Roma) che, come viene ampiamente dimostrato, sono, nel loro ruolo preminente di bank originator (BO), i principali beneficiari dell’operazione.
BIL favorisce essenzialmente le BO. La distorsione indotta nel mercato del credito è evidente: queste scaricano la fascia più debole della rispettiva clientela PMI, che selezionano in assoluta autonomia, sulla garanzia regionale; lucrano ricche commissioni senza rischi, mentre le risorse regionali ricevono una irrisoria remunerazione. L’indirizzo regionale di politica industriale appare evanescente, ininfluente sulla destinazione delle risorse pubbliche. Il costo della struttura non indifferente. Sotto il profilo economico grande parte del credito sarebbe probabilmente ugualmente erogato dal sistema creditizio e, in ogni caso, la casualità e la dispersione degli interventi non appaiono in grado di contrastare eventuali processi di razionamento del credito da parte del sistema bancario. L’alternativa a BIL che, analogamente a Unionfidi, potrebbe essere dismessa, è rappresentata da un ponderato piano di politica industriale, sostenuto da una analisi della realtà produttiva regionale, che produrrebbe le linee guida sulle quali selezionare, con procedure competitive, il sistema creditizio con vocazione territoriale, per sostenere le PMI del Lazio. Così avviene nelle Regioni più virtuose (come la Toscana, ad esempio) e non si capisce perché nel Lazio tante energie siano state spese in questo progetto, se non per potere soddisfare una velleità politica. Poter dire, in altre parole “abbiamo una banca!”.
Lait (Lazio Innovazione Tecnologica) è il nuovo nome che ha assunto la società ICT del Lazio (capitolo 7) per cancellare il ricordo di Laziomatica , nata nella VII legislatura e travolta dallo scandalo relativo alla violazione dell’anagrafe del comune di Roma, a ridosso delle elezioni regionali del 2005. La governance interna della società ha subito, nella VIII legislatura, significativi mutamenti. Dal modello iniziale dell’amministratore unico, si è passati al modulo classico (presidente, CDA, direttore), per passare, unico caso nelle aziende regionali, allo schema dell’amministratore delegato. Nel passaggio di legislatura si è registrata una ulteriore discutibile evoluzione: il CDA, a maggioranza, ha revocato le deleghe dell’amministratore delegato, avocandole al Consiglio. Tuttavia l’AD esautorato è rimasto al suo posto, dando vita ad un singolare caso di amministratore privato delle deleghe ma non della corrispondente retribuzione. Tutto questo nel silenzio totale del socio unico regionale.
La riorganizzazione avviata nel 2009 ha registrato una proliferazione di direzioni (tecnologie, progetti e sanità) e di aree (ben 16, nell’ambito delle direzioni, cui si aggiungono 6 unità organizzative). Tutto ciò ha riprodotto, sul piano operativo, l’appannamento dell’identità aziendale realizzato, su quello della governance interna, dalla gestione “assembleare” del CDA. L’analisi del conto economico mostra una crescita del valore della produzione dal 2005 al 2008, cui segue una flessione nel successivo biennio, in coincidenza con la modificazione del modello di governance interna. Dai 37 milioni del 2005, dopo il gradino del 2006 (63 milioni), la produzione continua a crescere anche nei due anni successivi registrando sempre una variazione positiva in corso d’anno. Poi la sensibile flessione fino ai 55 milioni del 2010.
