Trasparenza, maggioranze qualificate, audizioni preliminari, rappresentano un sentiero sicuramente virtuoso, da percorrere con innovazioni normative. Ma si può dare un impulso ancora più forte. Il CDA è superfluo. Il modello meglio rispondente alla governance interna delle società in house, sembra essere quello del direttore generale (come nel caso delle aziende sanitarie), scelto con criteri attenti alla professionalità e coadiuvato da una sorta di consiglio di sorveglianza (espressione selezionata delle parti sociali), con funzioni di garanzia e senza possibilità di influire sulla gestione (e gratuito, per non creare nuove rendite di posizione e aggravi sulla finanza pubblica).
Gli spunti che emergono dall’esame degli statuti sono arricchiti dall’esame delle soluzioni che, relativamente alla governance esterna, offre la legislazione regionale. Il modello prevalente è quello della programmazione triennale a scorrimento (programma triennale e piano annuale). Il meccanismo di approvazione di programmi e piani coinvolge simultaneamente sia l’organo di governo (Giunta), che quello assembleare (Consiglio). Approva l’organo di governo, ma al termine di una procedura consultiva (della Commissione bilancio) e concertativa (delle parti sociali). La tara sull’impatto effettivo di questi meccanismi è data da una prassi spesso caratterizzata da sensibili omissioni e ritardi (per cui può capitare che il piano preventivo sia approvato ad anno ormai concluso). Queste procedure devono essere rivitalizzate, subordinando al loro perfezionamento l’operatività stessa delle aziende.
La società regionale va circoscritta a quelle attività per le quali è possibile il confronto, in termini di economicità, con uguali attività esistenti sul mercato (o con analoghe strutture diffuse in altre regioni); riconducendo le altre attività nell’ambito dell’ente, utilizzando ampiamente lo strumento più agile dell’Agenzia. Da analisi di livello nazionale (Finlombarda, 2011) emerge che in termini di valore di produzione, si possono individuare due distinti modelli regionali: quello basato su una clientela mista pubblico-privata (che prevale in 15 Regioni) e quello in cui predominano le partecipate che servono esclusivamente enti pubblici (che prevale in 5 Regioni, tra cui il Lazio). In termini di valore della produzione la prevalenza del modello essenzialmente pubblico prevale nei settori dell’ICT e del sostegno allo sviluppo.
Oltre alle aziende di servizio pubblico locale (che nelle Regioni, come è noto, significano fondamentalmente trasporto) sono stati individuati tre settori in cui si ritrova una diffusione larga (anche se non piena) di strutture esterne alla amministrazione: il sostegno allo sviluppo, i centri di studi e ricerca, e le aziende strumentali (con particolare riferimento all’ICT). Sono tre ambiti molto rilevanti per le Regioni. La promozione dello sviluppo è compito primario delle Regioni. La politica industriale è per grande parte di competenza regionale. E tra le prime aziende regionali si annoverano le finanziarie per lo sviluppo, sorte quasi ovunque dalla fine degli anni settanta in avanti. Quello delle agenzie di sviluppo è uno strumento organizzativo eminentemente tecnologico largamente diffuso nelle esperienze regionali italiane ed europee, generalmente snello nella struttura ed incorporato nell’apparato amministrativo, pur avendo maggiori margini di autonomia. Si tratta di organizzazioni che operano in relazione diretta con il governo regionale, svolgendo una essenziale funzione di sostegno alle politiche di sviluppo e di raccordo con il territorio. A queste caratteristiche risponde nel Lazio preminentemente Filas e, per alcune attività, BIC e Sviluppo Lazio . La riunificazione di queste competenze in una struttura snella e fortemente orientata professionalmente, sotto la direzione di una cabina di regia regionale, è la soluzione più idonea per superare le attuali duplicazioni.
