L’attuazione di Roma capitale richiederebbe scelte incisive. Un recente documento del PD romano sul tema (“La Capitale Metropolitana: uno strumento istituzionale per governare bene”) affronta la questione incrementando le funzioni di ogni tassello istituzionale . Per i municipi (“maggiore livello di decentramento delle funzioni dal Comune ai Municipi”). Per le province diverse da Roma (“accrescere le competenze amministrative delle altre Province del Lazio”, con un nuovo conferimento, statale e regionale, di funzioni). Per la nuova area metropolitana (“I Comuni metropolitani formati dai Municipi di Roma e dai Comuni dell’Interland romano che sono parte dell’area metropolitana dotati finalmente di autonomia di budget saranno in grado di poter programmare e realizzare politiche nuove e articolate per le proprie comunità”). Per la stessa provincia di Roma soppressa (“Accanto all’assemblea dei consiglieri della Città metropolitana, ben potrà essere costituito un organo di raccordo dei sindaci dei comuni – inclusi gli ex municipi -, per avere una sede di concertazione interistituzionale che si esprima su i più importanti atti di programmazione”). Per la regione “con la previsione di un nuovo regime speciale (quindi con maggiori competenze legislative e un nuovo Statuto di rango costituzionale come per Sardegna, Sicilia, Valle d’Aosta, Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia) ovvero con l’ampliamento delle forme di autonomia in alcune materie come prevedono le norme costituzionali sul federalismo differenziato (art. 116 Cost.)”.
Dare un colpo al cerchio ed uno alla botte non risolve i problemi. Il rischio è quello della paralisi istituzionale in un coacervo di enti in conflitto permanente per affermare (o negare) la rispettiva competenza. Chiedere maggiori poteri per la regione Lazio si scontra con la realtà effettiva di un ente che non riesce a gestire le competenze normali, espropriate dall’inerzia e dal commissariamento. Non si tratta di difficoltà congiunturali, ma di profondi squilibri, causati da una classe dirigente, politica e amministrativa, particolarmente scadente. E la ragione principale di questo scadimento sta proprio nella attrazione fortissima esercitata dall’area romana (e dal livello nazionale, che a Roma si esprime).
Una scelta di riforma istituzionale forte dovrebbe prendere atto di questo dato strutturale e dare poteri regionali alla Capitale, inclusa la funzione legislativa (in analogia con le provincie autonome di Trento e Bolzano). I territori delle altre provincie, abolite come enti analogamente alle altre, potrebbero essere aggregati alle regioni limitrofe (Viterbo alla Toscana, Rieti all’Umbria, Frosinone e Latina alla Campania). E in mezzo una grande Roma/Regione, magari anche più estesa della attuale provincia (in questo caso avrebbe senso un forte decentramento municipale). Un vero e proprio distretto federale, con una dote di almeno 1 miliardo di euro, ricavata dalla abolizione della regione Lazio.
In alternativa, se si non vogliono introdurre grandi cambiamenti, è meglio razionalizzare la situazione istituzionale esistente, prevedendo finanziamenti speciali per le funzioni di Roma capitale (con gli strumenti legislativi esistenti, che possono essere aggiornati) e trasferendo, con procedure concertate, (da stato, regione e provincia) le funzioni indicate dalla legge sul federalismo fiscale.
Tertium non datur, altrimenti il rischio del papocchio è forte.
