ROMA – Alla fine l’outlook negativo di S&P è arrivato. Era prevedibile. Le ragioni sono due essenzialmente: la produttività e il debito. Su entrambe l’Italia è messa male e, senza una crescita almeno doppia di quella attualmente prevista (il 2 per cento, anziché lo striminzito 1), il piano di rientro del debito pubblico (dal 120 al 60 per cento del Pil), che dovrebbe scattare a partire dal 2014, rischia di trasformarsi in una “mission impossible”. Si tratta di un problema antico, che gli economisti più acuti hanno più volte e da tempo già inquadrato (si veda per tutti Paolo Ciocca, L’economia italiana: un problema di crescita”, Società italiana degli economisti, 44° riunione scientifica annuale, Salerno 25 ottobre 2003). E possibile porre rimedio a questa situazione e, in caso affermativo, che fare?
La prima cosa da evitare è quella di eludere il problema spostando il tiro sulle agenzie, come sembra fare Fitoussi, nell’intervista su Repubblica del 23 maggio 2011. Intendiamoci, le agenzie hanno i loro limiti e ben vengano le innovazioni per migliorare la trasparenza e la profondità delle analisi che producono. Va evitata però l’asimmetria di giudizio dei governi, che esaltano i rating quando viene aggiunta una A o tolta una B, e etichettano le agenzie come asservite alla speculazione finanziaria quando avviene il contrario.
Per quello che ho avuto modo di osservare direttamente (nel caso della Regione Lazio) le agenzie sono abbastanza accurate nelle loro analisi. Applicano metodologie standardizzate a livello internazionale (e questo consente comparazioni che in genere i livelli di governo oggetto della analisi, siano essi nazionali o regionali, scarsamente considerano), utilizzano i documenti ufficiali (scontrandosi spesso con alchimie contabili, che si spera siano superate dal processo di armonizzazione dei bilanci pubblici), interpretano i dati prodotti dai loro modelli in base a filosofie stabili e diversificate (S&P è più sensibile all’andamento congiunturale, mentre Moody’s tiene in massima considerazione l’andamento di più lungo periodo).
Il risultato può essere molto amaro, soprattutto nel caso in cui viene avviata una operazione trasparenza, in seguito ad un cambio di maggioranza politica, come è avvenuto in Grecia. Ricevere colpi in testa mentre stai cercando di risanare i conti non è piacevole, ma il compito delle agenzie è quello di informare i mercati. Quello delle istituzioni, l’Europa in questo caso, è mettere in atto le misure necessarie per proteggere la stabilità dell’euro e favorire politiche di bilancio virtuose (come si è iniziato a fare con la riforma del patto di stabilità e l’istituzione di un fondo permanente per sostenere i paesi in crisi).
La strategia di finanza pubblica indicata dal governo nel Documento di economia e finanza per il 2011 (DEF) prevede la realizzazione di un cospicuo avanzo primario entro il 2014 (la serie prevede, in termini di Pil, 0,9 nel 2011, 2,4 nel 2012, 3,9 nel 2013 e 5,2 nel 2014). Per realizzare questo ambizioso obiettivo è prevista una manovra cumulata netta sul saldo primario di 2,3 punti di Pil (35 miliardi di euro) nel biennio 2013 – 2014. Questa manovra, secondo il DEF, si dovrebbe innestare, irrobustendolo, sull’effetto virtuoso “delle misure di risanamento adottate” (il decreto-legge 78/11 e la legge finanziaria per il 2011). Tale effetto è valutato in 0,5 punti di Pil per l’anno in corso e 0,8 punti di Pil per il 2012 che porterebbero l’indebitamento netto corretto per il ciclo al 2,2 per cento del Pil a fine 2012 (2,7 – 0,5, che rappresenta la componente ciclica). A questo punto si innesterebbe la citata manovra aggiuntiva, che consentirebbe di conseguire il pareggio di bilancio in termini strutturali.
L’avanzo primario è dato dal saldo di bilancio (entrate – spese), al netto della spesa per interessi, che non è influenzabile dal policy maker (dipende dal tasso di interesse, fissato dalla Bce e dallo stock di debito accumulato). Solo un avanzo primario elevato (intorno ai 5 punti di Pil), mantenuto per un numero consistente di anni, può consentire di ridurre significativamente il debito pubblico. In altre parole a fronte del passivo patrimoniale non può essere considerato l’attivo patrimoniale, dello stesso ordine di grandezza. Non si può immaginare una dismissione massiccia (come era stato prospettato qualche anno fa dall’attuale ministro dell’economia) per intaccare significativamente il debito ma, come si sostiene nel DEF, è necessario conseguire un consistente avanzo primario che va mantenuto per un numero sufficiente di anni.
Da queste considerazioni emergono le fragilità rimarcate dal rilievo dell’agenzia di rating. Saranno effettivamente quelli stimati gli effetti della manovra effettuata sugli anni 2011 (8 miliardi) e 2012 (13 miliardi) ? Quali sono le direttrici della nuova manovra annunciata (13 miliardi nel 2013 e 13 nel 2014) ? Sarà possibile implementare una nuova manovra in un quadro politico così deteriorato (si rifletta ad esempio sulla “qualità” delle proposte sparate in questo scorcio di campagna elettorale) ? Il profilo di crescita ipotizzato (1,1 nel 2011, 1,3 nel 2012, 1,5 nel 2013 e 1,6 nel 2014) è sufficiente per conseguire l’obiettivo e, soprattutto, sarà realizzato ? A pagina 36 del DEF c’è una tabella che mostra le differenze tra il programma di stabilità del 2009 e quello del 2011. Per il 2011 ed il 2012 si prevedeva un tasso di crescita del Pil del 2,0 per cento annuo. La nuova previsione è inferiore rispettivamente di 0,9 e 0,7 punti. Si potranno registrare ulteriori scarti ?
Dal 2014 deve partire il percorso di riduzione del debito verso la soglia del 60 per cento. Nel DEF vengono illustrate le proiezioni del rapporto debito/PIL “lungo l’arco temporale che va dal 2015 al 2060”, a partire dal livello del 2014, che dovrebbe attestarsi a 112, 8 punti (per il 2011 si prevede di toccare la soglia di 120 punti, il doppio esatto di quanto previsto dagli accordi europei). Per ridurre del 3 per cento annuo lo stock di debito in termini di Pil ed applicare in tal modo la cosiddetta regola del ventesimo (raggiungere in 20 anni l’obiettivo del 60 per cento) è necessario mantenere un consistente avanzo primario per molti anni. E’ compatibile con le carenze infrastrutturali del paese ? Non si avrà un effetto troppo depressivo sulla domanda interna ? Riuscirà a reggere il sistema duale che caratterizza ancora, dopo 150 anni, l’economia italiana (i tedeschi in 20 anni hanno praticamente annullato il dualismo tra est ed ovest) ? Dalle molte analisi intorno a questi interrogativi (si rinvia in particolare agli articoli di Stefano Feltri sul Fatto Quotidiano) emerge che le preoccupazioni espresse nell’outlook negativo di S&P non sono affatto infondate.
E’ necessario quindi analizzare cosa si può fare per invertire la rotta. Primo non eludere il problema, come è stato fatto per molto tempo. Secondo, prendere coscienza che il sentiero è molto stretto (non si può aumentare la pressione fiscale, a livelli già elevati e sperequati; non si possono abbattere le spese con tagli lineari, pena la creazione di strozzature insostenibili; non si può pensare di affrontare nodi strutturali con azioni improntate alla emergenza del momento). Terzo, mettere in campo un certo numero di interventi immediati (li indicava anche Galli della Loggia sul Corriere del 23 maggio 2011), sui quali trovare una larga coesione. Non esiste altro grande paese europeo che abbia bisogno più dell’Italia di una grande coalizione. Dovremmo pensare tutti (e lavorare a testa bassa), per un certo numero di anni, a come crescere un punto in più. Se non si capisce questo, nonostante il presidente della repubblica lo ripeta ogni giorno, non possiamo poi lamentarci della diffidenza dei mercati.