Usa, Ronald Reagan a cent’anni dalla nascita. Figura leggendaria e controversa

Ronald Reagan

Gli americani celebrano il centesimo anniversario della nascita di Ronald Reagan (6 febbraio 1911) a Tampico, una sperduta cittadina dell’Illinois, ma la rievocazione dei suoi due mandati presidenziali, dal 1981 al 1989, è fatta di luci ed ombre.

Ventidue anni dopo aver lasciato la Casa Bianca, e sette anni dopo la sua morte il 5 giugno del 2004, il giudizio sul suo retaggio non è unanime. Figura legendaria, specialmente per i repubblicani, ma controversa.

Non c’e’ dubbio che, nonostante i lati oscuri della sua presidenza, Reagan resta uno dei più celebri presidenti degli Stati Uniti ed è tuttora amato, il Grande Comunicatore, non solo dalla destra ma da buona parte degli americani in generale.

Ma le sue iniziative dopo due mandati presidenziali spesso non sono state all’altezza della retorica con cui furono presentate, non tutti hanno tratto beneficio dalla sua esultanza nel proclamare ”Morning in America” (E’ di nuovo mattino in America), e la sua permanenza alla Casa Bianca è finita macchiata dallo scandalo Iran Contra, il piano illegale per finanziare le forze anti-comuniste nell’America Centrale.

Ma non per nulla Reagan era soprannominato il presidente teflon, per la sua impareggiabile capacità di lasciar scivolare via qualunque cosa potesse danneggiarlo. Da quando è stata inaugurata nel 1991, la Reagan Library è meta di pellegrinaggi continui, che non si sono interrotti negli anni di Bill Clinton e George Bush, e proseguono in quelli di Barack Obama.

Autobus di anziani nostalgici in gita, insieme a scolaresche alla scoperta del quarantesimo presidente degli Stati Uniti: l’uomo che da Berlino invitò ”Mr.Gorbachev” a buttare giù il Muro e ora riposa a pochi metri da una reliquia della Germania Est che sembra una lapide dedicata all’”impero del male” sovietico sconfitto dal suo incrollabile anti-comunismo.

Allora, in occasione dell’anniversario, i media americani si chiedono nuovamente: chi, e che cosa era Ronald Reagan?

Una cosa è chiara. Bill Clinton può essere stato l’uomo della speranza, e Obama ha certamente fatto della speranza il punto di forza della campagna elettorale che lo ha portato alla Casa Bianca. Ma Ronald era la personificazione stessa della speranza e dell’ottimismo, arrivando alla presidenza con perfetto tempismo, dopo gli anni bui di Richard Nixon, Gerald Ford e Jimmy Carter, secondo il quale il Paese era fiaccato da ”malessere”. Gli americani volevano speranza e Reagan gliela ha data.

I verdetti degli storici sono spesso sorprendenti per chi – specie in Europa – è rimasto fermo alla caricatura dell’”attore di serie B” prestato alla politica o lo considera un grande comunicatore senza sostanza. Sean Wilentz, uno storico di Princeton con solide credenziali liberal (è considerato l’erede di Arthur Schlesinger), ha pubblicato un libro che cerca di dare una chiave di lettura della fase attraversata dall’America dalla fine degli anni Settanta all’elezione di Obama, e già il titolo dice tutto: «L’Età di Reagan».

Il presidente repubblicano, per Wilentz, ha segnato l’ultimo scorcio del XX secolo e il suo influsso in politica estera, economia e costume è rimasto decisivo anche in questo esordio di millennio. Nel bene e nel male, ma per Wilentz più nel bene di quanto non sostengano per esempio i critici della Reaganomics, la sua politicica economica dileggiata dai critici come ”economia vudù”.

I 25 anni di continua crescita economica seguiti all’arrivo di Reagan alla Casa Bianca sono stati, secondo questa tesi, un effetto delle sue scelte economiche di cui ha poi beneficiato anche la presidenza di Bill Clinton.

Ma non tutti sono d’accordo. ”Elevato debito pubblico ed enormi mostri finanziari. Questo rimane della dottrina economica di Reagan”, dice Simon Johnson, ex-capoeconomista del Fmi. A distanza di anni il bilancio della Reaganomics ”non è positivo. Le sue scelte si sono tradotte in ricadute pesanti per gli Usa, i cui effetti sono oggi evidenti. Mi riferisco a due aspetti fondamentali: il primo è il debito pubblico pesantissimo e l’altro è l’esistenza di entità finanziarie di dimensioni enormi”.

Ma come si può imputare a Reagan la colpa di aver causato una crescita dell’indebitamento se uno dei pilastri della sua dottrina era il taglio della spesa pubblica? ”Certo che lo era – replica Johnson – ma tra gli altri pilastri c’era l’abbattimento delle tasse, ovvero la riduzione forzata delle aliquote sui redditi da lavoro e da patrimonio. Si è così dato il via libera a una serie di manovre che hanno forzato gli equilibri fiscali del sistema con ricadute sull’esposizione complessiva del Paese”.

La rivoluzione conservatrice cui Reagan diede in inizio quando arrivò alla Casa Bianca nel 1981, già indebolita durante il suo primo mandato, in gran parte si arenò durante il secondo. Il ”big government” che da candidato voleva ridimensionare, non fece invece che espandersi. In materia difensiva, in America molti esperti ridicolizzarono l’ambizioso – e costoso – progetto delle Star Wars, le Guerre Stellari.

Ma se i critici domestici erano scettici sul sistema difensivo fantascientifico immaginato da Reagan, a Mosca la musica era diversa. Le enormi spese per la difesa volute da Reagan e le sue continue sfide al Cremlino sono considerate da molti il principio della fine dell’Unione Sovietica. E’ questa la principale ragione per cui il Grande Comunicatore a tutt’ogi continua ad essere osannato dalla destra.

Una considerazione finale: avrebbe potuto Reagan, che credeva nel compromesso – diceva: ”Se sei d’accordo con me all’80 per cento, sei un amico all’80 per cento e non un nemico al 20 per cento” – sopravvivere oggi nella venefica atmosfera del tutto o niente dei Tea Parties, nella politica d’assalto tra democratici e repubblicani dove demonizzare l’avversario è la norma? Ottima domanda, ma la risposta non la sapremo mai.

Nel 1994 Reagan annunciò di essere afflitto dal male di Alzheimer. Trascorse i sei anni successivi in totale seclusione, con accanto la moglie Nancy, mentre la sua salute peggiorava, fino alla morte nel 2004.

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lgermini