Salgono le chiacchiere, scendono le azioni. La Bolla-sapone del Patto Sociale

ROMA – Salgono le chiacchiere, scendono le azioni. Non solo quelle di Borsa che continuano serenamente a precipitare: anche oggi, ormai è una cara abitudine cui Piazza Affari non rinuncia. Non solo le azioni di Borsa, scendono, se possibile, di quantità anche le azioni di governo. Nel brodino-camomilla riscaldato da Silvio Berlusconi per i mercati “nervosi” si era creduto di individuare un granello di “pepe”: il cosiddetto “Fabbisogno zero” su cui il Sole 24 ore, quotidiano della Confindustria, aveva aperto la sua prima pagina. Fabbisogno zero: cioè niente più spesa pubblica aggiuntiva da qui a fine anno. Aggiuntiva rispetto a quanto lo Stato ha già in cassa o incasserà entro dicembre per via fiscale.

Se non si spendono più soldi di quanto si incassa per i prossimi quattro mesi, allora non c’è bisogno di aste per vendere titoli pubblici nello stesso periodo. Non si va sul mercato a pagare interessi del 6 per cento e quindi il mercato, questo “capitalismo che sbaglia” per dirla alla Berlusconi resta con un palmo di naso. Per realizzare però il fabbisogno zero occorrono almeno una decina, quindicina di miliardi di risparmio di spesa, qui, ora e subito. Quindi, comunque la si voglia chiamare, un’altra manovra o l’anticipo degli effetti della manovra “cifrata” 2013/2014. Si era creduto di aver visto il granello di pepe, il giorno dopo il governo si è affrettato a “rassicurare”: non c’era, non c’è, è un miraggio. Da qui alla fine dell’anno non ci saranno interventi e manovra, piuttosto un Grande Patto.

Perchè Berlusconi è sicuro: “La crisi non si aggraverà e questa storia degli spread non deve spaventare, riguarda una frazione minima del debito pubblico”. Questa cosa va spiegata perché è in questa valutazione del premier e del governo che incoscienza furbetta, e furbastra ci cova. Vero è che interessi al 6 per cento ora lo Stato italiano li paga su una frazione minima del debito, quella messa sul mercato da poche settimane, mentre la gran parte dello stock paga interessi tra il 2,5 e il 4,5 per cento, quelli garantiti a un mercato che non di più chiedeva perché dell’Italia debitrice si fidava. Vero è che per circa tre anni, fino insomma al 2014/2015 il monte interessi sul debito da pagare crescerà relativamente di poco.

Ma entro questi due/tre anni buona parte dello stock del debito italiano giunge a  scadenza e va rinnovato, cioè è in questi due/tre anni che l’Italia deve trovare sui “maledetti” mercati qualcuno che le presta centinaia di miliardi di euro. Dunque l’Italia ha circa trenta mesi di tempo. Trenta mesi se comincia da domattina a rendersi più credibile e affidabile a chi presta denaro. Spendendo di meno, creando maggior ricchezza. Ogni mese perduto è un gradino, anzi gradone in cui la frana ingrossa e diventa valanga che non si ferma. Di questi trenta mesi la strategia del governo è quella di impiegarne una ventina, quelli in cui resta in carica, a fare il meno possibile. Altrimenti gli elettori si spaventano e si innervosiscono e Berlusconi e Alfano l’hanno spiegato con grande chiarezza: loro preferiscono rischiare con i mercati e non con gli elettori. Tra bancarotta e sconfitta elettorale per Berlusconi e il Pdl, Lega compresa, il male minore è il primo: è questa la furba incoscienza.

Che si manifesta, letteralmente, ogni volta che il premier apre bocca. Jean Claude Trichet, cioè la Bce, deve aver letto troppi giornali o guardato troppa tv, almeno secondo i parametri di Berlusconi. Che ha sentenziato: “I giornali e le tv danno un’immagine più negativa del reale”. Chissà quali tv guarda Berlusconi visto che Tg1 e Tg5 l’altra sera “informavano” che l’Italia è “solida” e spezzerà le reni ai mercati…Trichet, di certo per colpa della stampa estera, ha detto addirittura: “La crescita nell’area euro è in decelerazione”. Cioè non va bene e promette di andare peggio. Per cui qualcosa la Bce la farà: “una operazione supplementare di liquidità”, cioè comprerà un po’ di titoli di Stato di Stati che oggi il mercato non compra, tra cui i Btp italiani. E’ questa l’unica azione concreta, l’unica a cui il governo italiano si aggrappa.

Di contro salgono le chiacchiere, sono ore di autentica “Bolla”, quella del Grande Patto Sociale. Governo e parti sociali si sono incontrate e scambiati documenti ed ottime intenzioni: pareggio di bilancio, investimenti, diminuzione costi della politica, mercato del lavoro, privatizzazioni… Per il come e dove, il chi e il cosa…appuntamento a settembre. Altro che chiacchiera nella bolla del patto non c’è. E per una semplicissima ragione: il “Patto sociale” si fa se qualcuno ci mette qualcosa, di tasca sua. Quando “Patto” fu fatto nel 1992 le aziende accettarono e ci misero di loro una tassazione sull’impresa, i sindacati ci misero l’accordo sulle pensioni, il governo di allora accettò e ci mise il rischio di perdere le elezioni…E infatti nel 1994 le elezioni le vinse il Silvio Berlusconi del “meno tasse per tutti”.

Ora le parti sociali hanno poco da metterci se non una sorta di disperazione e il governo ci mette solo la voglia matta di non cadere e non far dispetto agli elettori. Quindi chiacchiere. Un vecchio adagio napoletano ammoniva: “Chiacchiere e tabacchiere di legno il Banco di Napoli non ne prende in pegno”. Era insieme una ferrea legge dell’economia e una comprovata esperienza di saggezza popolare. Un adagio che ha più di mezzo secolo di vita ma che è fresco e vitale come un neonato.

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Mino Fuccillo