
ROMA – Beppe Grillo e Renato Brunetta non sono francescani, proprio non risulta abbiano di questi monastici rapporti con il denaro. Quindi che siano loro a predicar sui soldi altrui è passare una mano di vernice ad imbiancar sepolcri. Eppure c’è qualcosa che suona falso e stonato in Fabio Fazio e in molti altri come lui quando parlano dei loro soldi. Non solo la alquanto pretesca argomentazione offerta in studio da Fazio: “Il contratto mi impedisce di rivelare il contratto…”. Non solo questo, c’è di più di falso e stonato.
Falsa e quel che è peggio appoggiata e sostenuta niente meno che in nome della “democrazia e del servizio pubblico” è l’argomentazione di Fazio e di molti altri come lui secondo la quale “praticamente non costano alla televisione che li paga perché quella televisione la fanno guadagnare con la pubblicità ”. Sembra ovvio e invece non è la verità , non è tutta la verità e una mezza verità è parente stretta di una mezza bugia. Non è vero che Fazio “si ripaga da solo”. Non è vero per lui, non era vero per Michele Santoro, non è vero per nessuno. Infatti Santoro da quando non è più sulla piattaforma Rai, guarda caso, si “ripaga” un po’ meno.
L’inserzionista pubblicitario, la pubblicità , gli spot scelgono di andare e pagare un “complesso”, una merce e prodotto multipli. Il conduttore senz’altro, il format della trasmissione, il brand dell’emittente, il palinsesto. Senza dire poi che i flussi pubblicitari non dipendono in buona parte e direttamente dal conduttore, format etc…La pubblicità va o non va a seconda del mercato, della congiuntura economica, delle tariffe. Tante variabili, tante ragioni, tanti percorsi, non riconducibili in toto ad un nome o a una sigla di trasmissione. Se Fazio trasmettesse su altra emittente altro sarebbe il ricavo della pubblicità . Senza dire che ricondurre la ragione dell’afflusso pubblicitario ad una sola persona che così si “pagherebbe da sola” è discretamente offensivo per tutti coloro che quella stessa trasmissione realizzano.
La storia del “mi pago da solo” e poi “restituisco la metà in tasse” è in realtà un doppio alibi: nessuno si paga da solo e il “restituire in tasse” non è atto meritorio ma atto dovuto.
Poi c’è qualcosa, quel qualcosa di stonato. Stonati sono, se ci sono, per Fabio Fazio e per chiunque altro qualunque lavoro faccia cinquemila euro al giorno di paga. Non è la morale a dettare scandalo, chi se ne frega dello scandalo e qui l morale non c’entra. C’entra la tenuta della società , il tessuto connettivo della società intesa sia come comunità umana che come azienda. E’ il capitalismo e non Papa Francesco che sta riflettendo e studiando, producendo analisti, studi e dati di fatto. Su cosa? Sul fatto che la società -comunità e la società -azienda tengono, si cementano e si rafforzano quando la forbice dei redditi interni si allarga da uno a venti, uno a trenta al massimo. Duemila euro al minimo, sessantamila al vertice: questa la forbice che dà forza prima ancora che equilibrio.
Quando invece la forbice va da uno a cento o peggio ancora più sopra, la società -comunità si intossica di veleno e rancore (Grillo-Brunetta), si estenua non tanto nella scalata sociale e reddituale quanto a buttar giù chi sta scalando o ha scalato. E la società -azienda non viene più vissuta come patrimonio e cosa comune d tutti coloro che ci lavorano (“guadagni cento volte quel che prendo io, quindi affari tuoi”). Non essere tutti uguali, premiare i bravi, pagare il merito vuol dire, dovrebbe voler dire portare  casa a fine mese venti-trenta volte quello che guadagna quello in fondo alla scala ma che pur lavora con te. Se a fine mese ne porti a casa cento invece che venti/trenta volte di più allora non è “troppo” morale, è troppo che sfascia.
