ROMA – Coronavirus, 31 luglio, per ore la data del 31 luglio è corsa, anzi è stata fatta correre come un brivido maligno sulla schiena degli italiani. Coronavirus, ci tengono in casa fino al 31 luglio! Dove sta scritto? Chi l’ha detto? Sta scritto nel Decreto, guarda. La voce correva sui social, prendeva forma di messaggi di ogni forma, semplici telefonate e video telefonate. La data si diffondeva camminava, il dio dell’informazione li perdoni, sulle gambe di non pochi giornalisti.Â
Coronavirus, finisce il 31 luglio. Mica male come titolo. Gran voglia di farlo. Ma se si è stati sul punto di farlo un titolo così non è stato per ingordigia di audience. E’ stato purtroppo per congenita, acquisita, stabile normale routine. La routine dei due canali dell’informazione, quello dei mezzi di comunicazione classici (giornali, radio, tv, agenzie di stampa, siti web) e quello dei social network.
La routine dell’informazione classica: un operatore (molti operatori) sfogliano un testo di governo. Dovrebbero essere in grado di divulgarlo visto che è scritto in burocratese, tradurlo e divulgarlo dovrebbe essere il compito, la merce per cui sono pagati. Non lo si fa (salvo poi lamentare l’oscurità dei testi che è reale ma l’informazione sarebbe appunto la triade comprensione-traduzione-divulgazione). Non la si fa la divulgazione, si trasmette, si mette pari pari su piattaforma il testo di governo. E lo si sfoglia alla ricerca del titolo o del dispaccio d’agenzia. Si avvista una data; c’è scritto 31 luglio. C’è scritto stato d’emergenza fino al 31 luglio.
Ci si dimentica che sei mesi di stato d’emergenza sono stati decretati (non in silenzio e di nascosto) il 31 gennaio. Si ignora cosa sia lo stato d’emergenza e cosa significhi il dichiararlo. Si ignora perché lo si fa, si ignora che lo si fa perché dentro lo stato d’emergenza si possono fare leggi e provvedimenti in modalità altrimenti non fattibili. Si ignora il tutto, si considera orpello e zavorra il sapere il prima, il come e il perché. E si ignora anche la plausibilità di ciò che si crede di vedere: tutti in casa fino al 31 luglio? Anche fosse scritto da qualche parte e così non è, un operatore dell’informazione dovrebbe porsi il problema della plausibilità di ciò che crede di leggere.
Ma ignoranza frettolosa e smemorata porta non pochi a leggere un tutti a casa fino al 31 luglio. Non pochi dentro il circuito e la routine dell’informazione seria e professionale. Questa per fortuna ha ancora qualche filtro (debole) e anticorpo (pochi) e prudenza (scarsa). Ma ce l’ha e quindi il titolo tutti a casa fino al 31 luglio non esce e non si fa. Bloccato anche dalla smentita secca di Conte, smentita che in una pubblica opinione di minimo buon senso informata da una informazione di minimo buon sens, sarebbe dovuta risultare assolutamente superflua. Invece diventa necessaria.
L’informazione seria e professionale comunque si ferma sul ciglio del titolo: tutti a casa fino al 31 luglio. L’informazione via social non lo fa, non si ferma, non ha il freno temporale di confezionare prodotto. E quindi veicola coi suoi mezzi e tempi la data del 31 luglio (ieri sia detto per inciso correva anche la bufala del sapevano tutto e ce l’hanno nascosto con tanto di data, appunto, della verità negata). Informazione professionale e quella via social: identica la tentazione, similare la routine, diverso il prodotto finale. La differenza c’è , ma non troppa.
Infatti un’altra perla: la signorina che per terza in ordine di tempo interroga il presidente del Consiglio in conferenza stampa chiede…Letteralmente chiede: “E’ stato detto che un italiano su dieci sia contagiato…”. Un italiano su dieci, sei milioni!? La signorina cita intervista a persona seria, intervista su Repubblica in cui l’intervistato competente diceva possibile che per ogni contagiato oggi conteggiato ve ne fossero altri dieci non rilevati. Cioè circa 70 mila conteggiati, possibili fino a 700 mila in teoria. Un contagiato noto, dieci possibili contagiati non noti. Ma la signorina ha letto in fretta, ha capto fischi per fiaschi, ha pensato e detto: ogni dieci italiani un contagiato. Sei milioni, seicentomila…stai a guardare il capello. E’ la stampa, la stampa oggi. E non puoi farci nulla. No, poi alla fine la differenza tra social e informazione professionale non è poi così tanta e ormai si assottiglia .