ROMA – “I soldati bambini di Cinque Stelle, i più adatti all’indottrinamento, i più spietati perché la guerra la fanno per gioco”. L’immagine, la metafora sui “soldati bambini” impietosa e feroce quanto immediatamente calzante, appare sul Sole 24 Ore del giorno 11 aprile per la firma di Alberto Orioli. E due giorni dopo, il 13 aprile, viene ripresa sullo stesso quotidiano da Fabrizio Galimberti. Entrambe le volte in editoriali non specificamente su M5S e Grillo ma sulla inadeguatezza e ormai nocività di ogni forma in cui la politica si coagula in Italia. Sempre e comunque coagulo che prepara, favorisce se non addirittura direttamente provoca l’ictus o l’infarto sociale ed economico.
“Soldati bambini di Cinque Stelle”…l’immagine è forte, perfino crudele. Ma così appaiono quando proclamano “porcata di fine legislatura” il pagamento di 40 miliardi alle aziende da parte della Pubblica Amministrazione morosa. “Facevano la guerra per gioco” infatti e avevano capito, Roberta Lombardi in testa, che bisognava dare addosso alle banche, sempre e comunque. Soldati bambini…”i più spietati” appaiono quando predicano saccheggio e deportazione dell’intera “città della politica”. Soldati bambini che imbracciano armi vere, perfino quelle che mitragliano un governo e un Parlamento.
Già, i 163 cittadini eletti si stanno rivelando appunto “soldati bambini”, la metafora non è fumo senza arrosto. Però, dovessero confermarsi tali, dovessero i loro elettori, almeno una parte dei loro elettori, vederli come solo e soltanto “spietati soldati bmbini”, dovesse spargersi una certa delusione e perfino preoccupazione per averli votati, cosa ne scaturirebbe? Una sorta di disperazione nell’anima elettorale, se così si può dire, di milioni di persone. Disperazione: se i cittadini eletti M5S sono “soldati bambini”, a chi si può ridare il voto che è stato dato a Grillo e ai suoi 163? A Berlusconi, a Bersani, a Monti? Chi con arguzia feroce vede i “soldati bambini di Cinque Stelle”, veda anche la disperazione civile del non poter ridare indietro a nessuno quel voto.