Lucio Fero

Governo Draghi, la conta delle donne: questione di lobby, non di genere

Governo Draghi, nella conta delle donne ministro si sono esercitati in tanti, mettendo in scena una conta affannosa, affannata per sgomento e indignazione. Talmente col cuore in gola la conta che alle voci e alle menti della fiera protesta è sfuggito un afflato, un  respiro di inammissibile e non ammessa verità: non è questione di genere ma questione di lobby.

Governo Draghi e donne: la sofferenza Pd costringe Zingaretti al grottesco

Un minuto dopo l’ufficializzazione della formazione del governo ecco Zingaretti segretario Pd: non è colpa mia se tre ministri Pd tre uomini, rimedierò con i sottosegretari, saranno tutti sottosegretarie. Grottesco, risibilmente triste a guardarsi.

Ma nella logica di ciò che si intende e si camuffa come politicamente corretto e socialmente progressista nell’universo Pd e latu sensu democratico. Uno squarcio di verità da una parlamentare Pd: dovremmo, dobbiamo fare la corrente delle donne.

In effetti coglie il punto: i tre ministri Pd maschi sono esponenti di tre correnti interne al partito, le donne possono fare al quarta corrente al al prossimo giro avere magari un ministro o due in quota. Quota corrente, non quota femminile. Ripartizione incarichi per corrente, non per genere. Perché qui il genere, anche se chiamato in causa ed esposto come suprema causa e valore, in realtà è un pretesto.

Governo Draghi: conta della quota donne, niente di più urgente e pressante?

Antonio Polito sul Corriere della Sera ha usato la metafora della safety car imposta ai partiti e gruppi politici dalla pericolosità della pista. Il governo Draghi fa quel che deve fare se partiti e gruppi politici rispettano la safety car. Il partito cosiddetto femminile non ha avuto un attimo di esitazione, è stato il primo a scartare l’obbligo di safety car? Niente di più urgente nel paese, niente di più sostanziale nel governo, niente di più importante (sì, importante) della conta delle donne al governo dello star lì a misurare quante?

No, niente di più urgente, pressante, sostanziale, qualificante e decisivo e importante di quante al governo della corrente donne se la questione femminile viene vissuta, pensata e praticata non come questione civile culturale ma come questione, rappresentanza e interesse di lobby.

Lobby femminile sì, anche lobby femminile. Perché qualunque gruppo sociale che, nella legittima e doverosa promozione del proprio interesse di ceto, categoria o ruolo, omette, rimuove e ignora o pospone l’interesse generale a quello di ceto o gruppo, allora è lobby. Al meglio, e non è granché, sindacato delle donne. E, come ogni sindacato, soggetto, se non vigila su se stesso, a scivolamenti verso la corporazione.

Sinistra, la lingua ormai morta della politica sociale

Il fiero lamento e l’angosciata conta delle donne al governo sono prerogativa quasi esclusiva delle forze politiche che si dicono di sinistra e progressiste. In effetti la destra politica e culturale ha sulle spalle ingloriosa e lunga tradizione ad attitudine ad escludere e mortificare la donna che osasse uscire dal ruolo di madre, moglie, figlia, amante e all’occorrenza prostituta.

La destra politica, sociale e culturale son secoli che diffida della donna, o meglio di ciò che la donna può sottrarre al dominio maschile. Ma quel di cui la sinistra si paluda come fosse immacolata e nobilissima toga non è, nel caso in specie dei posti al governo e sotto governo, abito di civiltà e valori superiori ed emancipatori. Al contrario, è l’incapacità della sinistra contemporanea di parlare una lingua della cultura ormai morta anche dentro questi partiti e organizzazioni. La cultura della sinistra che era individuare, alimentare, costruire soggetti generali.

La nobiltà dei valori dell’agire politico stava in quella cultura nell’emancipare (emancipare, guarda un po’…) il soggetto sociale dall’inseguimento corporativo del proprio interesse di lobby o ceto o classe nel coniugarlo con l’interesse generale. Lingua morta per le tante esponenti della corrente donna del Pd e dintorni che oggi dichiarano ferita e offesa non la questione femminile ma la rappresentanza della corrente.

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Mino Fuccillo