ROMA – Non ci si fa caso, si preferisce non farci troppo caso e, a farci caso, si fa la figura dei…razzisti. Eppure si intensificano, si fanno più serrati i lampi di una sorta di guerra di razze. Uno per tutti: il borseggiatore, il moldavo ladro morto nella metro di Roma forse per pestaggio da parte dei derubati, forse per attacco cardiaco. Insomma morto ammazzato per punizione molto “terrena”, quella dei derubati, o morto per punizione molto “celeste”, quella del Fato.
In entrambi i casi l’opinione corrente nei bar e sui bus e anche sul web stavolta coincidono: gli sta bene a quel moldavo di 52 di essere morto, gli sta bene perché rubava di mestiere e professione, perché era un ladro sfacciato e costante e perché…era moldavo. Gli sta bene, anche e soprattutto se l’avessero ammazzato di botte i derubati. Questi sono la sentenza e l’umor di popolo. E, per chi avesse qualche dubbio al riguardo o per chi giudicasse troppo estrema la sentenza e troppo estremista l’umore, valga la lettura di quanto La Repubblica riporta di una conversazione con un vigilantes del metro: i borseggiatori sostanzialmente impuniti e impunibili che si sono fatti aggressivi e guai a contrastarli.
Se l’hanno ammazzato di botte gli sta bene. Al moldavo ladro nella metro di Roma. E al marocchino di 29 anni legato mani e piedi in un commissariato di Monza, gli sta bene anche a lui? Sia detto con franchezza: per una buona parte, per una larga parte della pubblica opinione sì, gli sta bene. Perché era ubriaco e da ubriaco era impegnato in una rissa con un cingalese, perché alzava le mani contro i poliziotti, perché i legacci sostituivano l’iniezione di calmante che arriverà dopo, perché è stato condannato da un giudice a otto mesi per lesioni e minacce a pubblico ufficiale e perché…è marocchino.
Senegalesi sono invece quelli che sono andati a Napoli in Galleria Umberto a fare sit-in e a protestare contro le “divise”, in questo caso la Guardia di Finanza. Sostengono i senegalesi che uno di loro è stato arrestato, portato in caserma e preso a calci in testa. Secondo la Gdf invece il senegalese Niane era stato fermato con altri 25 venditori ambulanti fuorilegge, aveva morso, sì morso, due finanzieri, al polpaccio e al polso. E poi sui era auto inflitto ferite per mettere nei guai i finanzieri e per precostituirsi davanti ai giudici una sorta di impunibilità.
Quale sia la storia vera di Niane e dei senegalesi di Napoli difficile dire. Certo è che a Roma quasi quotidianamente una “divisa” che provi a fermare, controllare un venditore abusivo viene minacciata, circondata, talvolta aggredita. E’ successo a vigili urbani ma anche a carabinieri.
Sono lampi di guerra di razze perché l’italiano indigeno e residente è molto spesso a un passo dal negare all’immigrato delinquente lo status di essere umano al pari degli altri (gli sta bene se l’hanno ammazzato di botte) e l’immigrato che campa di reati più o meno grandi è pronto a difendere il suoi diritto, la sua pretesa a delinquere sia con la forza e la violenza sia con l’inganno e il ricatto. Come racconta quel vigilantes della metro di Roma a un suo collega un ladro ha gridato: “Dai, mettimi le mani addosso se hai coraggio. Toccami, menami, così le telecamere ti riprendono e tu passi un guaio, finisci nei casini tu”. Lampi di guerra di razze alla cui luce vedi poco ma vedi che buoni e cattivi non sempre sono quelli che tali appaiono e che i buoni e i cattivi stanno e lottano sia di qua che di là.