Lucio Dalla: la lobby gay e quella del clero a presidio della morte

ROMA – Padre Bernardo Boschi, il confessore di Lucio Dalla e il sacerdote che ha celebrato il funerale in San Petronio: “Le polemiche sono una vendetta dei gay che volevano fare del cantante una loro bandiera”. Sottinteso: senza riuscirci. Paolo Patané, presidente di Arcigay: “Nessuna vendetta da parte dei gay, messa alle strette, la Chiesa pensa di difendersi aggredendo noi. E’ la solita ipocrisia”. Sottinteso: dei preti omofobi. Chi ha ragione? Purtroppo, tra i molti torti e al netto dei reciproci rancori, purtroppo una qualche ragione ce l’hanno entrambi ed è questo il grosso guaio. Intorno alla omosessualità di Lucio Dalla, apparentemente svelata e conclamata dal pianto in chiesa del compagno di vita Marco Alemanno, si è svolta e si consuma una gara, una corsa, una competizione. A presidiar la morte, il fine vita, il rito di passaggio come da secoli e senza eccezioni e rinunce fa il clero. E a presidiar il sesso nella sua dimensione pubblica come da decenni all’ombra di un malinteso “politicamente corretto” fanno non gli omosessuali ma la corporazione gay. Non sono la stessa cosa la corporazione gay e gli omosessuali, così come non sono la stessa cosa la fede religiosa e la storica organizzazione del clero. La corsa e la competizione non si svolgono tra fede e libertà, morale cattolica ed etica laica. In campo sono solo e purtroppo una legittima lobby ma pur sempre lobby e una istituzione degli uomini, in tonaca ma pur sempre uomini.

La Chiesa cattolica, la Chiesa e non la fede, non è “ipocrita”. E’ tenace e determinata. Data da molti secoli la missione che il clero si è auto assegnata in “questo” e non nell’altro mondo. Nel mondo dei vivi e non in quello delle anime, se pur questo altro mondo davvero c’è, il clero da secoli si è tenacemente disposto a presidio dei caposaldi, dei luoghi “strategici” dell’umano. Il concepimento, la nascita, il matrimonio, la malattia, la morte. In ognuno di questi “luoghi” la Chiesa, la Chiesa e non la fede, soprattutto la Chiesa cattolica, piazza un sacerdote, un membro del clero come garante e vigilante. Le regole, le norme del “presidio” possono cambiare e sono cambiate appunto nel corso dei secoli, a riscriverle ci ha pensato sua sponte la stessa Chiesa. Ma quel che non è mai mutato è l’obbligo e la missione del “presidio”. Se non c’è questo “presidio” del concepimento, del matrimonio, della nascita, della malattia e della morte non c’è funzione terrena e terrestre del clero e finisce che non c’è clero, almeno non come lo intende la Chiesa apostolico romana. Quindi per realizzare questo “presidio” la Chiesa è tutt’altro che “ipocrita”, sa essere duttile e testarda, tollerante e drastica. Rifiuti il “presidio”, chiunque tu sia sei fuori. Accetti il “presidio”, chiunque tu sia, sei dentro. La Chiesa ha fatto così anche con Lucio Dalla, come fa con tutti. Pur di presidiare, il clero si fa volpe e faina, pastore e infermiere, guardiano e balsamo, ospitale e invadente. Un po’ di ragione l’Arcigay ce l’ha: il clero non tollera espropri del suo “presidio”. Se lo vede minacciato, allora fulmina. Pur di ottenerlo allarga a dismisura le sue braccia, ai confini della “ipocrisia” ma senza abbracciarla.

Ma un po’ di ragione ce l’ha anche padre Bernardo Boschi: appena visto in tv il pianto del compagno di Dalla la corporazione gay, i gay fattisi sindacato e corporazione di se stessi, la corporazione gay e non gli omosessuali, hanno voluto marcare la loro missione: piantar bandiera su quel funerale, su quelle lacrime e su quell’amore. Bandiera che Lucio Dalla non aveva mai voluto alzare con le sue mani. Già trenta anni fa Dalla diceva: “Non mi sento omosessuale. Mi sento pronto e disponibile a tutte le situazioni di amore, di affetto, amicizia, tenerezza…”. Omosessuale o no, Lucio Dalla già trenta anni fa così rifiutava di ritirare e sottoscrivere la tessera della corporazione gay. Non era e non è stato Dalla un omosessuale pentito e perdonato dalla grande e misericordia Chiesa come anche alla Chiesa piace pensare avendone “presidiato” la morte. Non era e non è stato un testimonial della corporazione gay. Ad entrambi, al clero e alla corporazione gay, Dalla aveva già risposto trenta anni fa: “Sono un uomo confuso, credo che gli uomini abbiano il diritto ad essere confusi, perché sono sgradevoli quelli che si ritengono conclusi”.

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Mino Fuccillo