Preiti prima, Delnevo poi…come il Che: in troppi danno i numeri

ROMA – Per qualche giorno gli “antagonisti” in piazza e in favore di telecamera avevano alzato come vessillo e bandiera il nome di Luigi Preiti, quello per capirci che aveva mirato e sparato al Carabiniere Giuseppe Giangrande a Palazzo Chigi, piagnucolando poi che voleva “far fuori un politico”. Non solo gli “antagonisti”, a Preiti tributarono omaggio anche i “No tutto” che abitano e talvolta infestano la Rete. Durò solo qualche giorno per fortuna la beatificazione di Preiti “rivoluzionario che voleva far fuori un politico”. Qualcuno in piazza e sul web accostò l’immagine di Preiti a quella del Che Guevara. Il dio della ragione, delle rivoluzioni, della decenza e del pudore tutti insieme lo perdonino quel qualcuno. Comunque per fortuna il “Preiti eroe subito” durò solo qualche giorno e poi si spense come fuocherello d’artificio stopposo e bagnato.

Adesso un po’, solo un po’ ma quel po’ è già troppo, un po’ ci risiamo. Sotto altre spoglie e altro nome, quello di Giuliano Delnevo. Dopo il padre che a La Repubblica l’ha battezzato “eroe”, ecco la mamma Eva che allo stesso quotidiano dichiara: “Mi è venuto in mente che il giorno prima della sua partenza avevamo visto insieme un film su Che Guevara…” “Mi sento un po’ come lui” ricorda la madre di aver sentito dire a Giuliano quel giorno e conclude “i suoi compagni erano dei fratelli”. Dunque un po’ come Ernesto Che Guevara il giorno in cui Giuliano fattosi Ibrahim andava a prendere le armi in nome dell’unico vero dio, anzi dell’unica vera fede, quella sunnita. Perché essere solo musulmano non basta per non essere infedele, occorre essere sunnita. Occorro volere uno Stato, una nazione, un califfato, un pianeta dove religione e Stato siano la stessa cosa e dove dissenso e peccato siano sinonimi e dove chi non capisce lo puoi, anzi lo devi, anche ammazzare. Questa era la missione di Giuliano-Ibrahim e mamma Eva, dio la perdoni, ci si mettano insieme a perdonarla sia Allah che Gesù e anche qualche Buddha se può, la paragona, equipara a quella delle “Brigate Internazionali che non Spagna hanno combattuto contro Franco”.

Un padre e una madre e un figlio morto. Si può far finta di non sentire. Ma non deve essere solo il dolore che giustamente acceca. Ci deve essere in giro qualcosa d’altro che fa dare i numeri. Qualcosa che è nelle prime frasi del giornalista che intervista mamma Eva e scrive, sente l’utilità, l’opportunità di scrivere: “Un volto magro e scavato dal dolore che ricorda quello di Heidi Giuliani, la madre di carlo, il ragazzo di Piazza Alimonda…”. Licenza giornalistica, assonanza assemblata solo dal cosiddetto giornalistico “colore”…e sia. Ma qui cominciano a essere in troppi a dare i numeri e ad avvicinare, confondere, mescolare in una orribile e velenosa marmellata i mezzi fuori di testa che sparano ai Carabinieri perché perdono alle slot e i nuovi giannizzeri del califfato islamico con i piccoli e grandi Che Guevara dell’Occidente illuminista, democratico, laico, liberale, socialista e pure comunista. Per dirla con eleganza, si potrebbe e dovrebbe dire altrimenti: non si confonda la lana con la seta.

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Mino Fuccillo