
ROMA – Gli italiani e non solo loro (drammaticamente lo provano e attestano i due soccorritori albanesi morti per salvare altre vite umane) hanno fatto qualcosa di estremamente difficile e di estremamente coraggioso. E lo hanno fatto con successo. Una nave in fiamme in mezzo a un mare con onde incessanti e alte dai quattro agli otto metri. Centinaia di persone ammassate su un solo ponte perché ogni altro luogo della nave era stato toccato dalle fiamme e lambito dal fumo. Una nave che aveva mal utilizzato, disperso, comunque sprecato le sue scialuppe di salvataggio facendovi salire pochi passeggeri. Una nave alla deriva e che poi via via si inclinava. Mentre a bordo montava il panico omicida e suicida.
Li avessero salvati 427 passeggeri in simili condizioni gli americani stampa e tv made in Usa e relativi social network avrebbero celebrato l’impresa e magari innaffiato la cronaca con la retorica degli eroi. Negli Usa il paese si sarebbe congratulato con se stesso e con i suoi uomini e donne al lavoro di salvataggio. E la stessa cosa sarebbe accaduta in Francia o Gran Bretagna o Germania o anche in Turchia, Giappone e Cina. Da noi no, da noi sembra impossibile, vietato, bloccato da interna censura il congratularsi con se stessi.
Da noi attestare che è stata un’impresa salvare 427 persone è sottoposto al “mediamente corretto”, il “corretto” dei media e al “popolare corretto”, il “corretto” dell’umore imperante nella pubblica opinione. Entrambi dicono che non si può più di tanto mettere l’accento sull’impresa del salvataggio perché altrimenti si fa soffietto e omaggio all’autorità, allo Stato, insomma a quelli che notoriamente “fanno schifo”. E’ un’autocensura quasi sempre inconscia ma rigidissima e vigilante.
Per cui mass media e opinione pubblica cercano di uscire dall’imbarazzante situazione cercando, qualche volta evocando e qualche volta trovando ciò e cui sono addestrati e abituati. Il “ritardo nei soccorsi”, un classico in ogni disgrazia, un riflesso ormai pavloviano in ogni dichiarazione riportata di superstite. Talmente classico che è l’informazione a suggerire alla fonte: “C’è stato ritardo?” E lo sventurato conferma: sì, c’è stato.
Il “ritardo nei soccorsi”, il “caos a bordo”, il “sovraccarico colpevole”, la “nave revisionata e non aggiustata” (la “carretta dei mari” non ha fatto in tempo a comparire)…Il tutto denunciato da chi non sa e non si cura di sapere in quali tempi si poteva avere e si è avuto soccorso e neanche sa ovviamente come si evacua una nave in alto mare e neanche quale sia la capienza di sicurezza di Tir e auto a bordo e neanche se e cosa sia stato riparato e cosa no prima dell’incendio.
Errori, responsabilità e forse magagne in questa tragedia ce ne saranno pure e forse saranno scoperti ma mass media e pubblica opinione si comportano come tossicodipendenti in crisi di astinenza: li vogliono, li bramano e, se non li trovano, si “fumano” anche una corteccia di banana come fosse cocaina e si iniettano sciroppo come fosse eroina.
Un paese culturalmente intossicato e umoralmente depresso-rabbioso non sa, non si può permettere il titolo: “427 salvati”. E non potendo fare e leggere il titolo che amerebbe di più e cioè “Naufragio di Stato” o giù di lì, ripiega verso il più cronisticamente corretto dei “Dieci morti”. Ma è solo un ripiego appunto, in redazione, al bar e nelle chiacchiere a casa vorremmo ben altro: vorremmo i colpevoli inefficienti e bari di un naufragio e i responsabili inetti di soccorsi vergognosi. Siamo fatti, anzi ci siamo fatti così. Ci siamo fatti così da soli: giornali, televisioni, social network e gente comune.
