ROMA – Scusi, quanto è il suo stipendio? Dunque, vediamo: tolto quel che pago per la benzina, tolta la bolletta del telefono, tolto l’affitto di casa, tolte le spese di viaggio, tolto stipendio e contributi per la colf, tolti i soldi che pago all’ex coniuge, tolti i soldi che verso al mio circolo, il mio stipendio vero è di circa cinquemila euro netti. Così a domanda risponde l’onorevole, deputato o senatore che sia. Proviamo a imitarlo, ad adottare la sua “matematica”: che stipendio netto e vero resta a chi onorevole non è dopo aver pagato l’affitto o le spese di casa, la colf, la spa, la palestra, la benzina, i viaggi, le bollette..? Il candore senza pudore con cui l’onorevole risponde alla domanda sul suo stipendio può essere apprezzato se estendiamo il suo metodo di calcolo. Quale lo stipendio, vero e reale come dicono gli onorevoli, di un comune mortale a reddito medio-alto, mettiamo cinquemila euro al mese. Questo comune mortale dovrebbe a domanda rispondere: mille euro, massimo 1.500 . Il resto se ne va appunto in benzina, colf, viaggi, casa, bollette, salute, svago, cultura…
E a domanda sul suo vero stipendio cosa dovrebbe rispondere, applicando l’onorevole metodo, chi di euro ne guadagna 2.500? Che il suo vero stipendio è di poche centinaia di euro se va bene. Ci vuole faccia tosta e mente persa per proclamare che il vero stipendio è quel che resta dopo aver pagato tutte le spese per vivere. Nessuno si sogna di farlo, i parlamentari italiani lo fanno. Sostengono che quel che conta, il vero stipendio, sono solo i cinquemila euro netti che gli restano in tasca dopo aver pagato tutto quel che serve per vivere e anche di più. Sostengono, hanno la faccia tosta e la mente persa per proclamare che quelli e solo quelli sono i veri soldi per loro. E gli altri quasi quindicimila euro di chi sono, chi ce li mette? Sono soldi pubblici, quindi fanno capire i parlamentari, soldi di nessuno. Spesi per loro, pagati per loro. Ma, siccome non vanno puliti e lisci, netti da ogni spesa, in tasca a loro, allora non vanno contati.
Non vanno contati, altrimenti è “antiparlamentarismo fascistoide”, i 3.503 euro mensili esentasse della diaria. Non vanno contati i 1.331 euro esentasse di rimborso trasporti. Non vanno contati i 3.690 esentasse di “rappresentanza”, i 258 di telefono e i 41 di dotazione informatica anche questi esentasse. Gli onorevoli dicono che non vanno contati i soldi loro elargiti per i collaboratori. E allora rinuncino e chiedano, anzi decidano, possono farlo, che i collaboratori li paga lo Stato. Ma non l’hanno mai fatto, l’hanno sempre impedito. Cosa li “costringe” a prendere cash il denaro per i collaboratori e poi girarlo a questi precari del Palazzo? Forse la circostanza che non lo “girano” tutto? Gli onorevoli dicono che danno soldi ai rispettivi partiti, per tenere in vita la democrazia, la politica che ha i suoi sacrosanti costi. Bene, anzi male: i partiti e la politica, la democrazia in Italia è finanziata con robusti rimborsi elettorali a carico del contribuente, centinaia di milioni di euro.
E fossero solo gli onorevoli, dicono che tutto si risolve se diminuisce il numero dei parlamentari: 945 tra deputati e senatori sono troppi. A parte che nessuno li diminuisce mai davvero, a parte la logica del meno siamo meglio stiamo, gli eletti in Italia sono 125mila. E i restanti 124 mila oltre ai parlamentari, dalle Regioni ai Comuni alle Province calcolano le loro retribuzioni proprio come fanno gli onorevoli. Dicono che è antipolitica e anti democrazia far di conto diversamente da come conteggiano loro. Hanno messo in piedi una legge azzeccagarbugli e una commissione Don Abbondio per calcolare se mai e non sia mai debbano guadagnare qualcosa di meno. Giocano davanti al paese al gioco dei tre stipendi: uno appare, l’altro scompare, qual è lo stipendio vero? Per la salvezza della politica un po’ di antipolitica è ormai necessaria, a questo ha portato la somma di faccia tosta e mente persa.