Lucio Fero

Patata bollente è volgare. Peggio che sessista. E volgarità è colore dell’anima

ROMA – Patata bollente è stato un titolo volgare di un quotidiano. Quale sia il quotidiano è noto e notissimo è il suo attuale direttore che quel titolo ha firmato in buona assonanza con il lessico abituale del suo giornale e anche con quello della sua cifra professionale. Un direttore, bene ricordarlo, da molti e molti anni di molte testate e una firma tra le più lette e citate. Di più, un direttore/giornalista coralmente presentato e accolto in ogni luogo della comunicazione come autorevole opinion-maker, se non proprio maitre a penser. Insomma uno cui nei convegni e nei dibattiti si dà del maestro.

Eppure la volgarità non è mai stata nascosta, occultata, tanto meno ripudiata. Nella storia giornalistica di cui stiamo parlando (testate e direttori) la volgarità è stata parte se non architrave del progetto editoriale. Lo stesso direttore de la “patata bollente” è stato più volte scavalcato in volgarità, perfino scalzato dal podio in materia da emuli che a un certo punto lo vedevano “moderato”.

La volgarità non è una parolaccia o il turpiloquio o il ricorrere linguaggi non eleganti sbrigativamente definiti come “da caserma” o da “bar sport”. No, la volgarità è non avere altri orizzonti che i cavoli propri e non riconoscere alcun limite o confine, tanto meno di decenza, alla propria protervia. La volgarità è un misto di alto e basso, è essere altamente tronfi del proprio ego da riconoscerli il privilegio di fregarsene degli altri e bassamente intenti e chini a che ogni tuo gesto ti porti profitto e vantaggio. E il resto è dei fessi e dei deboli.

Questo è la volgarità che in politica vuol dire disprezzare come sub umani quelli che non fanno parte con te e non stanno dalla tua parte. Disprezzarli talmente da provare piacere intellettuale (fisico?) a coprirli di sterco che fango è troppo poco. E la misura? Roba da chierichetti imberbi. E la fondatezza delle accuse? Il vero ha una funzione ancillare, è ospite spesso gradito ma che stia al suo posto. E’ il verosimile la realtà. Il verosimile che costruisco, confeziono e condivido con la mia parte, pubblico, partito, clan. E in questo contesto l’insulto volgare è elemento di identità, una coerenza di programma, tutt’altro che un incidente isolato.

Patata bollente è peggio che titolo “sessista” come è stato da tutti detto. Molto peggio, è la volgarità che esibisce il suo passaporto di libero transito e la sua licenza di sopraffazione. Non c’entra nulla la buona educazione o creanza o il parla come mangi e meno di quanto si dice c’entra perfino il maschio e femmina. La volgarità è un colore dell’anima. Che non stinge. Chi ce l’ha, ce l’ha sempre.

Quel che cambia, eccome se cambia, è che in alcuni momenti della storia di un paese, di una comunità, si può dire anche di una civiltà, quel colore se lo indossi ed esibisci fai una brutta figura, anzi ti dicono più o meno gentilmente di smettere. E altri momenti in cui ti applaudono e ti vengono dietro e ti tributano e riconoscono successo.

Meglio ripetere, non è questione di parole o doppi sensi. Una bestemmia può non essere volgare e un buona sera può essere volgare. Volgare, inequivocabilmente incivile è la voglia, l’ingegno, la fregola di usare la parola, la frase, la metafora… per fare scempio del bersaglio. E non in uno scatto d’ira, ma a freddo. E non perché hai scarso vocabolario e ti mancano le parole giuste e conosci solo quelle toste, volgare è quando non c’è l’alibi dell’illetterato. Fare scempio e sempre per trarne vantaggio e piacere. Questo è volgare, quel brutto colore dell’anima.

Un colore che è ormai abito e divisa. Non certo solo di quel quotidiano o di quel titolo. Indovinate su quale blog venne posta la domanda: che ci faresti con la Boldrini se fossi solo in macchina con lei. Indovinate da chi venne il twet con la domanda se la Boschi e la Picierno non fossero per caso insieme in tangenziale. Indovinate chi in uno spettacolo nel 2001 diede della vecchia meretrice (il termine usato fu più esplicito) a Rita Levi Montalcini. Indovinate di quale gruppo parlamentare era quel deputato che il 30 gennaio 2014 in aula disse alle deputate del Pd che erano lì solo per la loro capacità nel sesso orale.

Non indovinate, non vi viene in mente? Blog di Grillo, tweet di Grillo, spettacolo di Grillo, onorevole Massimo De Rosa M5S (Marco Imarisio articolo memento sul Corriere della Sera). Anche altri, molti altri, usano la volgarità come manganello in politica. I manganellatori fanno non costume ma consenso elettorale. E’ peggio, molto peggio dell’eventuale sessismo di super maschi (eventuali).

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Mino Fuccillo