
ROMA – Federmanager è l’associazione dei dirigenti industriali che ha innescato (il termine è di Alessandro Barbera su La Stampa) la sentenza della Corte Costituzionale avversa al blocco della rivalutazione delle pensioni 2012/2013. Ora che il governo ha per via di decreto disposto i rimborsi che vanno dallo zero al 40 per cento di quanto i pensionati non hanno incassato causa blocco e che alla gran parte delle pensioni in atto dei dirigenti tocca proprio quello zero, Federmanager è comprensibilmente insoddisfatta e annuncia ricorsi e nuovi esposti alla Corte. Federmanager vuole che sia pagato tutto a tutti e non solo il 40 per cento alle pensioni più basse e via a scalare fino allo zero rimborsi delle pensioni sopra i 3.200 lordi.
Nulla da eccepire, provarci è legittimo. Quanto lo diranno i giudici, se necessario gli stessi della recente sentenza. Proprio oggi il presidente della Corte Costituzionale, Alessandro Criscuolo, ha detto ad Alzo Cazzullo del Corriere della Sera che “se è una legge è incostituzionale non possiamo fermarci se la nostra decisione provoca delle spese”. Quindi Federmanager può nutrire almeno speranza che prima o poi arrivi una sentenza che obblighi alla restituzione integrale e al rimborso per tutti, anche dovesse costare 15 o 18 o 20 miliardi o quel che sia.
Provarci è legittimo e forse neanche inutile, però tanto elegante, diciamo così, da parte di Federmanager proprio non è. Vediamo perché.
Le pensioni dei dirigenti fino al 2002 le gestiva l’Inpdai. Fino al 1995 con l’Inpdai si andava in pensione con l’ottanta per cento dell’ultima retribuzione con 30 anni di contributi (buona parte del resto del mondo, quelli della pensione Inps avevano bisogno di 40 anni di contributi). Come che sia, anno dopo anno, l’Inpdai chiudeva in pesante deficit, più o meno un miliardo l’anno. E allora nel 2003 l’Inpdai viene portato per scelta governativa nell’Inps. Cioè l’Inps, cioè tutte le categorie di lavoratori, cioè la fiscalità generale, cioè i contribuenti si fanno carico dei debiti, dei buchi di bilancio dell’Inpdai e anche della regolare corresponsione delle pensioni dei pensionati ex Inpdai.
Da allora, dal 2003, il fondo pensioni ex Inpdai nell’Inps, insomma le pensioni dei manager e dirigenti industriali, ha fatto altri 4 miliardi di deficit. Anche perché dal 2003 “non può beneficiare di nuove iscrizioni” come scrive La Stampa. Cioè deve continuare a pagare le pensioni dei pensionati ma non può accogliere e iscrivere nuovi versatori di contributi. Perché i dirigenti industriali i loro contributi oggi li versano al Previndai, un nuovo fondo pensione che non ha nulla a spartire con l’Inps e che ha la gestione in attivo.
Riepiloghiamo: il fondo pensioni dei dirigenti fa un sacco di debiti perché paga pensioni generose. Fallisce, finisce in Inps che ripiana con i soldi di tutti. Ma continua a perdere. Perché i manager si sono fatto altro fondo pensione in attivo per conto loro e per conto loro se lo tengono lasciando che l’Inps paghi la differenza tra contributi versati e pensioni erogate.
In termini dotti si chiama socializzazione delle perdite e privatizzazione dei profitti. In parole più terrigne è un manifestarsi e un installarsi, un realizzarsi di una doppia morale previdenziale che ha come imperativo primo: Quello che è mio è mio, quello che è tuo è…mio!
