Può esistere un paese che conta contemporaneamente 120 milioni di vani costruiti, due a testa per ogni abitante, compresi i neonati, e la difficoltà, quasi l’impossibilità a trovar casa dove abitare se non con un affitto che vale tutto intero uno stipendio o un mutuo che dello stipendio, quando c’è, vale almeno la metà?
Può esistere un paese che conta 3, 5 milioni di ettari trasformati da campagna in palazzi (quanto il Lazio e l’Abruzzo messi insieme) in soli venti anni, un mare di case nuove. E contemporaneamente 40 milioni di vani di case vecchie senza manutenzione, controlli sui lavori interni, verifiche di stabilità?
Può esistere un paese ansioso di “piani casa” per allargare, estendere, sopra elevare e che contemporaneamente conta il 20 per cento del patrimonio abitativo, cioè di tutte le case senza contare quelle abusive, che risulta vuoto?
Non potrebbe, non dovrebbe esistere, tanto questo ipotetico paese risulterebbe sbilenco, anti economico, insicuro e in fondo molesto a chi ci vive. E invece esiste, non è un paese ipotetico, è l’Italia. L’abbiamo letteralmente costruito così, mattone su mattone. Con le leggi e le non leggi dello Stato, con la attiva partecipazione al cantiere dei governi nazionali e locali, con la convinta, alacre e soddisfatta mano d’opera della pubblica opinione.
Dovunque in Italia prendi un compasso e provi a tracciare un raggio di diedi chilometri. Sempre incontrerai un centro, un grumo, un pugno, una sfilata di case. Da decenni le costruiamo su terreni nuovi. Perché costa di meno ai costruttori “mangiarsi” la campagna e perché questo sembra un buon affare agli amministratori e agli inquilini e proprietari. Ma, se “affare” è, non è gratis, ha un prezzo. Il prezzo è quello di lasciare le case vecchie vuote o senza manutenzione. Nei centri storici una casa è “per sempre”, nel senso che resta per sempre così come è stata fatta il primo giorno.
Qualche volta poi, a furia di “restare”, la casa viene giù. Solo a Favara degradata? No, a Venezia, Bari, Imperia, Cagliari, Osimo, Matera, Napoli e non è che il riduttivo elenco che la cronaca offre degli ultimi “assurdi” crolli. Che tutto sono tranne che assurdi. Sono anzi conseguenti, razionali, voluti. Frutto di una scelta che se ne frega del futuro, lascia il passato a sopravvivere come può ed eventualmente marcire e cerca profitto, vantaggio e comodità solo in un presente schiacciato e compresso in una manciata d’anni.
