ROMA – I giornali giocano al gioco del “chi ha vinto e chi ha perso” nella partita delle liberalizzazioni: notai, Trenitalia, Eni, banche, farmacisti, avvocati, tassisti… Gioco intrigante ma astratto: la partita non è finita. Mario Monti dà qualche numero: con qualche anno di tempo salari reali cresciuti del dieci per cento, come la produttività e un punto abbondante di Pil in più grazie alla concorrenza dove concorrenza non c’era. Giocano anche economisti e associazione dei consumatori con i numeri: una famiglia risparmierà con le nuove regole mille o cinquecento euro all’anno? Numeri che ballano, numeri ballerini. Però dei numeri certi ci sono, numeri che dicono a chi vuole leggerli come stanno le cose, alcune cose.
In Italia il settore dei servizi, quello soggetto suo malgrado a liberalizzazioni, quello che liberalizzazioni non vuole e non ha mai voluto, ha un “markup” del 61% per cento. Che vuol dire, che è questa parola? Un’altra dopo lo spread? Vuol dire che a lavorare e operare nei servizi si ottiene in Italia un profitto medio del 61% per cento. E allora? Allora in Europa la media dei profitti del settore servizi e del 35 per cento. Ancora l’Europa? E chi se ne frega… Restiamo in Italia: il profitto medio dei settori sottoposti alla concorrenza, ad esempio, non piccolo, l’industria, è del 17 per cento. Se il profitto è una torta, i servizi se ne prendono una fetta quasi quattro volte più grossa dell’industria. Insomma nei servizi c’è “grasso”. Nei servizi delle banche, dei notai, dell’energia, dei treni, dei taxi, delle farmacie, degli avvocati… I servizi resistono alle liberalizzazioni, non vogliono spartire neanche un po’ del grasso acquisito e potenziale. E questo si può capire. Un po’ meno si può capire quando chi si prende la fetta più grossa è anche lo stesso che restituisce di meno, infatti l’evasione fiscale, guarda caso, è massima nel settore dei servizi, sempre quello.
Quel che riesce proprio difficile da capire è perché un accenno di redistribuzione del grasso sia visto come pericolo e attentato da che dovrebbe rappresentare gli interessi di quelli che vanno di magro. Susanna Camusso, leader della Cgil, ha testualmente detto: “Queste intemperanze liberalizzatrici porteranno guai”. Guai a chi? Ammesso che siano guai, a  quelli del 61 per cento di profitto. Ma la Cgil non stava con quelli al 17 per cento, con le fabbriche, gli operai, i salariati, l’impresa?
