ROMA – Rigopiano, 29 vittime, 29 uccisi dalla valanga smossa con tutta probabilità dal terremoto. Di questi 29 le autopsie hanno accertato che almeno 27 sono morti sul colpo, per traumi e lesioni. Solo due cadaveri, quelli di un cameriere e del maitre presentano condizioni compatibili con un decesso per ipotermia. Insomma la gran parte di  quella povera e sfortunata gente non è morta di freddo aspettando soccorsi che non arrivavano.
E’ triste e in qualche modo irrispettoso per questi morti dover far la conta di quanti morti e di che. Ma la cosa si rende necessaria per contenere, almeno contenere, la storia senza fondamento che da settimane si narra in giro, nel gran giro delle televisioni di “approfondimento” (dio ne scampi) e dei social network di “rivelazioni/testimonianze” (dio ne guardi). La storia falsa dei soccorsi in ritardo e per questo responsabili, colpevoli, per lo meno complici dell’agonia e della morte di quei 29.
Storia alimentata dalla trasformazione del drammatico equivoco intorno alla prima telefonata di allarme in manifesta non volontà di ascolto, disprezzo della gente e appunto complicità con il terremoto e la valanga. Chi l’ha trasformata così la storia della donna che confonde la stalla crollata con l’albergo, della richiesta di verifica al proprietario che risponde di aver “appena chattato e tutto bene” ma era un’ora prima e lui comunque era a Pescara? Chi l’ha trasformata nella storia della burocrazia ottusa e nemica e pure nella Protezione Civile pigra? Un po’ tutti, chi più chi meno, qualunque notiziario o chiacchierificio.
Storia senza fondamento quella dei soccorsi in ritardo. Soccorsi che nella realtà hanno lavorato allo spasimo per raggiungere l’albergo, una sera e una notte a scavare, letteralmente scavare, un passaggio nella neve lungo la strada che non c’era più. Soccorsi che hanno salvato, tirato fuori letteralmente dalla morte quattro bambini e altri adulti. Soccorsi che hanno portato vita dove stava svanendo, altro che ritardari e complici di morte.
Ma non per questo la storia falsa finirà di essere narrata. In fondo contro di lei ci sono solo i fatti. E i fatti non godono attualmente di buona reputazione. Magari la sposteranno un po’ indietro la storia dei soccorsi colpevoli di ritardo: perché non sono andati a prenderli prima della valanga? Lo sapevano della valanga…E poi perché l’albergo costruito sui detriti?
A nulla vale osservare che si sapeva di valanghe probabili ma, come sempre e come ovvio, non si sapeva di quella valanga, lì e proprio lì. L’allarme valanghe non era e non poteva essere specifico. E i famosi “detriti” non sono pezzi di calcinacci andati a male ma detriti è il nome di una struttura geologica e non vuol dire materiali di pasta frolla. Ma che ne sa e che gli frega al chiacchierificio cacciatore di colpevoli? Niente ne sa e nulla gli importa se non la caccia.
Ed è anche, bisogna riconoscerlo, ideologia e cultura. La recentissima sentenza di condanna dei vertici aziendali nel processo per la strage di Viareggio lo attesta. Ideologia e cultura convergono e concordano nel bisogno di punire quando ci sono vittime. Punire non solo, se ce ne sono, i responsabili diretti. Punire anche, se non soprattutto, i responsabili “istituzionali”, i responsabili non del singolo atto che ha portato alla tragedia e al danno ma anche, se non soprattutto, i responsabili al vertice, quelli al potere. Responsabili dunque e quindi colpevoli di gestire il potere, sia esso aziendale o istituzionale.
Cultura e ideologia concordano e convergono sul proclamare il potere una colpa o almeno una colpa potenziale. Potenziale, ma che si manifesta ed esplicita in ogni tragedia. Colpa che va punita e dai cui effetti il cittadino-vittima va risarcito. Nessuna sorpresa quindi che lo schema che è perfino sentenza di magistratura diventi nella sua versione più pop la storia falsa dei morti per i soccorsi in ritardo a Rigopiano.