Santoro santo e martire. Santo suo malgrado: la “santità ”, l’aureola di giornalista libero, anche se non del tutto “bello” nelle forme, nello stile e nel linguaggio, non le ha cercate. Gli sono state conferite d’ufficio dalla Rai che oggi è intorno a lui. Una Rai dove il Tg1 non è solo e soltanto un giornale amico del governo e del premier. Questo è sempre stato e non c’è scandalo e sorpresa. No, il Tg1 fa di tutto e di più: cancella le frasi e gli aggettivi scomodi usati dai ministri in carica, non manda in onda quel che dicono se quel che dicono appare non utile, espelle dai titoli quel che dice il presidente della Camera se il presidente della Camera esce dal coro . E il Tg1 non lo fa per caso, ma per scelta e per metodo. Il Tg1 guida, gli altri si accodano.
In questa Rai in cui l’informazione non è più fisiologicamente amica della maggioranza e del governo ma è patologicamente non più informazione, in questo tipo di Rai Santoro è “santo”: manda in onda quel che succede. Il fatto che lo faccia più o meno faziosamente o più o meno oggettivamente diventa questione accessoria. Per colpa altrui prima ancora che per merito di Santoro.
Martire però Santoro si avvia a diventare per ragionata scelta, se non per lucido calcolo. Porta, anzi riporta in studio Patrizia D’Addario. L’aveva già fatto, meritoriamente, la scorsa puntata. Finalmente in Rai si era visto e si era discusso di ciò che tutti sapevano da mesi. Tutti tranne quelli che per mesi avessero visto solo la Rai: le feste a Palazzo Chigi e a Villa Certosa, innocenti o lussuriose che siano state. Le escort che ci sono andate o che ci sono state portate, consapevole o no il padrone di casa. Le notti in cui sono rimaste o no a casa e nel letto del premier. Quel che alcuni chiamano gossip o spazzatura, comunque privata, e quel che altri leggono come incesto tra la cosa pubblica e quella privata nell’intreccio, nel mercato che si sarebbe creato tra favori sessuali, politici e clientelari.
Santoro l’ha già fatto, lo rifa. Alzando volutamente la posta dello scontro. Come quei giocatori di poker che, dopo aver ben giocato e vinto una mano di carte, si rigiocano tutto mostrandosi in fondo incapaci di vincere. Santoro lo rifa, richiama la D’Addario con l’unica differenza scenografica della D’Addario in carne e ossa. Per la scena e per il teatro una grande differenza. Per l’informazione poca o nessuna differenza. L’altra volta ci ha fatto sapere, la prossima volta Santoro ci allestisce sopra uno uno show. Io non l’avrei fatto, non avrei richiamato la D’Addario, non avrei deciso di fare di Annozero un serial sulle escort. Non per questione di buon gusto e neanche per prudenza e neanche perché non si possa fare. Ma solo perché scegliere la replica, la D’Addario-bis, è atto politico prima ancora che giornalistico.
Atto politico perché chiama il governo e la maggioranza che stanno assediando la Rai a sfondare l’ultimo cancello. Atto che offre non una ragione ma un pretesto. Come nelle manifestazioni di piazza, i duri e puri che vogliono arrivare sempre fin sotto il portone di Palazzo Chigi, quelli che si fanno un punto d’onore di violare ogni “zona rossa”, quasi mai lavorano nell’interesse e per la salute del “corteo” che vogliono guidare. Anche se sono in perfetta buona fede, anche se sono liberi di farlo, la loro ricerca del martirio sotto il fuoco nemico è nel migliore dei casi teneramente ingenua, stolidamente presuntuosa, scioccamente astuta.
Tre giorni dopo la puntata di Annozero con la D’Addario in studio, è fissata in piazza a Roma la manifestazione nazionale per la libertà di stampa. Questione grande e vera. Riguarda le leggi in gestazione su ciò che si può pubblicare o no, riguarda l’accaparramento delle risorse economiche, l’esistenza o meno di mercato e concorrenza. Riguarda le pressioni, anzi gli ordini padronali della politica sui giornali. Riguarda l’uso dei giornali come bastoni politici contro gli avversari. Riguarda i giornalisti singolarmente: se un direttore ti dice di cancellare parte di quel che ha detto Brunetta o chi per lui, se un direttore ti dice di mettere il silenziatore al presidente della Camera, se tu giornalista lo fai, allora è anche una tua scelta, ne sei responsabile in prima persona. Puoi non farlo.
La libertà di stampa si pratica e non solo si perora o si declama. Ecco, se giovedì Santoro dovesse essere punito o minacciato per la sua puntata bis con la D’Addario, allora sabato la manifestazione per la libertà di stampa diventerebbe la manifestazione per Santoro. E, con tutto il rispetto, le due cose non coincidono, non fosse altro che per una questione di proporzioni. Santoro questo calcolo è in grado di farlo, temo l’abbia fatto.
