
ROMA – Non so chi possa o debba farlo, il Prefetto, la Protezione Civile, il Ministero dell’Ambiente, il Papa? Ma qualcuno lo faccia, le condizioni per farlo ci sono tutte: qualcuno chieda per Roma lo stato di calamità naturale. Come si fa per le frane, alluvioni, terremoti, nubi tossiche…La calamità naturale che si riversa, e accanisce, su Roma è quell’Ignazio Marino che nel giorno non di grazia per la Capitale 22 ottobre 2015 dichiara in un’intervista: “la città mi vuole”. Lui intende che la città, i romani lo vogliano sindaco, ancora sindaco. In realtà i romani Marino sindaco lo vogliono, eccome se lo vogliono. Non proprio sindaco però, lo vorrebbero, anzi lo vogliono…meglio non precisare dove e come lo vogliono.
L’intervista a La Repubblica, l’intervista del “Roma mi vuole” è un capolavoro di arroganza e faccia tosta. Dopo averla letta appare chiaro che il “marziano”, l’uomo fuori dai giochi e dalla politica si è fatto anche lui furbetto, furbetto del Campidoglio. Con chi andava a cena mettendo in conto al Campidoglio? Con una signora bionda che somiglia alla moglie e hanno confuso con la moglie. Con esponenti dell’opposizione che non si possono dire in nota spese chissà mai perché. Non con l’ambasciatore del Vietnam anche se sulla nota c’è proprio scritto ambasciatore del Vietnam. E’ stato quello sciocco/a della segreteria che ha visto nell’agenda del sindaco l’appuntamento con l’ambasciatore e lo ha piazzato a cena. Sono tutte così le orgogliose rivendicazioni di correttezza assoluta di Marino. In più nell’intervista l’arrogante pretesa che sia tutto chiarito, tutto risolto, tutto in regola.
Così non è, proprio per nulla. Se non è peculato (e ancora non è detto non lo sia) è di certo malcostume abbinare alla rinfusa e come capita conti di ristorante da rimborsare e nomi di commensali. Malcostume che sottende un insopportabile: tanto son soldi di nessuno, tanto paga la cassa del Campidoglio…che vuoi star lì a far da pignolo ad essere esatti?
Ad essere anzi esatti, perfino pignoli, l’orgogliosa ricostruzione del sindaco dei suoi scontrini rivela un lato alquanto pitocco: gli otto euro di caffè cornetto offerti ad una vittima dell’Olocausto. No, ma quando mai? Precisa Marino: mi ero fatto portare in camera d’hotel caffè cornetto, mica ho offerto al sopravvissuto in camera…Dal che si evince che il sindaco che si vanta di aver speso denaro suo nell’interesse del Comune e non viceversa era uso mettere in conto, a nota spese, anche caffè e cornetto. Non proprio un indizio di liberalità.
Ma è quel “la città mi vuole” che è l’attestato di calamità naturale che Marino rappresenta per Roma. Significa che proverà a fare la “giunta giubilare”, cioè proverà a restare sindaco con una sorta di giunta di emergenza per il Giubileo. In realtà Marino sa e tutti sanno che giunta giubilare è solo nelle sue parole e avvertimenti, sì avvertimenti. “La città mi vuole” significa avvertimento al Pd, la minaccia, che altro non è, di presentarsi alle primarie Pd per il nuovo sindaco. Significa che Marino si barrica, gioca a nascondino con la realtà, continua con suprema faccia tosta a proclamarsi “sindaco dei cambiamenti epocali” e vittima innocente e immacolata sia dei poteri forti e criminali sia della politica.
Ci vuole molta spregiudicatezza per recitare questa recita. Cecità totale o indifferenza assoluta per lo stato reale dei servizi pubblici in città. Narcisismo quasi patologico per rimirarsi allo specchio come l’unico “buono” in un mondo di “cattivi”. Amor del paradosso e della provocazione quando ogni sondaggio e ogni chiacchiera in ogni angolo di Roma segnala il reale giudizio dei cittadini sul sindaco in carica. Una certa propensione a giocare eccome il gioco politico cui ci si dichiara estraneo: dimissioni sì ma anche no, aspetto, cerco una maggioranza, faccio una lista, anzi vado alle primarie, sto scrivendo un libro pieno pieno di, attenti alla mia agenda…E’ la più classica tecnica politica del “attenti a toccarmi che se schiodo faccio male…”.
Può darsi Marino agisca solo per sconfinato e smodato amor di sé, oppure per meditata rivalsa e profondo rancore. Oppure ancora come qualcuno ipotizza (fino a ieri ipotesi maligna, dopo l’ultima intervista ipotesi da rivalutare) che quel “la città mi vuole” significhi in realtà che Marino vuole qualcosa per andarsene senza sfasciare gli arredi e attende che qualcuno gli chieda appunto cosa vuole. Eccola la calamità naturale su Roma, uno così al Campidoglio.
