Terremoto, quattro scomode verità che si fatica a dire

Terremoto, quattro scomode verità che si fatica a dire

ROMA – Terremoto, quasi una settimana fa. Sette giorni in cui si sono mostrate in tutta la loro evidenza quattro verità su noi stessi, sull’Italia che c’è, sul paese che siamo. Ma ciascuna di queste verità la si fatica a dire, la si sussurra, la si mormora, non di più. Circolano sommesse queste verità nel pensiero, opinione pubblici e nella comunicazione di massa. Perché sono ciascuna a suo modo e ognuna in modo diverso verità scomode. Incomode rispetto al luogo comune del politicamente e comunicativamente corretto. Fuori asse rispetto alla liturgia dei ruoli istituzionali e sociali. Quasi indicibili perché smontano la retorica della tragedia.

La prima verità, vera e propria breaking news nella storia dei terremoti italiani, è che stavolta, per la prima volta e più di ogni altra volta prima, lo Stato, la Cosa Pubblica ha funzionato. Non solo ha funzionato, ha funzionato bene. Ha funzionato come è difficile immaginare si potesse fare meglio. I soccorsi sono arrivati in fretta e a tempo. Sono arrivati in forze, competenti e preparati. Chi poteva essere salvato è stato salvato, tirato fuori dalle macerie sotto le quali era sepolto (quasi trecento). I feriti subito in ospedale, i senza casa subito assistiti. Pasti caldi, acqua, medicine, abiti, tende, gruppi elettrogeni, giocattoli per i bambini…Nulla è mancato, tutto è arrivato in gran quantità e gran velocità.

La prima verità (quasi indicibile in un paese dove il governo è sempre “ladro” quando piove, figurarsi quando terremota…) è che il governo ha fatto bene. Chi volesse avere un metro di paragone ricordi che nel 1980 in Irpinia non arrivò nessuno per giorni e che ancora in Umbria nel ’97 si arrivava senza sapere che fare e a L’Aquila si arrivò soprattutto per fare scena. Ma si può dire che quanto era nelle mani di un governo è andato bene? Qui da noi il politicamente corretto è che il governo opera male per definizione, la breaking news ha parecchio sorpreso giornali e tv e pure la gente, figurarsi la gente militante in ronda permanente anti tutto, figurarsi i vigilantes dei social…E insieme alla mano pubblica ha funzionato alla grande la solidarietà privata delle associazioni: volontari ma volontari esperti, efficienti e utilissimi.

La seconda verità si fatica a dirla ancor più della prima, consiste nel rischio concreto di affidare il pollaio alla cura della volpe. Fuor di metafora, la ricostruzione, i piani, i progetti, i soldi e la messa in atto della ricostruzione affidati al ceto politico-amministrativo-burocratico dei poteri locali. Quel ceto che è il responsabile primo dell’aver fatto costruire e costruito e ristrutturato come se un terremoto non dovesse mai venire quando sull’Appennino ne arriva uno ogni cinque anni. Sono i governi locali, le regioni, i comuni, i presidenti, i sindaci che hanno chiuso un occhio, accettato una proroga e poi anche un’altra e poi una deroga e poi un’altra…Che hanno fatto ristrutturare case antiche con cappelli di cemento, che per quieto vivere con gli elettori/ cittadini/ compaesani se aprivi una finestra stai a guardare il capello…Ci sono comuni in Italia che hanno cercato di essere tolti dalla lista dei comuni a rischio sismico perché “danneggia il turismo”.

Ora a questo ceto amministrativo/politico/burocratico provatamente incosciente e irresponsabile verrà, per forza di cose, affidata la ricostruzione. A chi altri se no? Altri non c’è. Quindi che dio ce la mandi buona. Ma ogni dubbio su questo ceto, spesso questuante e lacrimante, è più che lecito, è doveroso. Non è questione, purtroppo, di anti corruzione o anti mafia. Contro il crimine qualcosa, volendo, si può fare. Ma cosa si può fare contro l’inettitudine unita alla protervia, contro la cosa pubblica intesa come cosa da spartire un po’ per uno, contro l’idea che la regola intralcia, opprime? Si può fare pochissimo, anche perché c’è, la terza verità.

Che a dirla possono essere solo gli stranieri, gliela passiamo perché sono di fuori. La terza verità è che senza l’edilizia incosciente e irresponsabile, senza il proprietario che ristruttura come gli conviene e non fa manutenzione se non gli conviene, senza il Comune che glielo fa fare e la Regione che dice che non le compete, senza tutto quello e tutti quelli che hanno messo su case, scuole, palazzi, hotel e ospedali che vengono giù, dei trecento morti non ce ne sarebbe stato quasi nessuno.

La quarta verità è in fondo la più tosta, la più indicibile. Suona così: ammesso che d’ora in poi tutti, governi, cittadini, amministratori, politici, costruttori, burocrati, proprietari, facciano il giusto e il meglio…Ammesso che nessuno o quasi sbagli più o quasi un finanziamento, una ricostruzione, una gestione del consenso e/o del territorio…Ammesso che si divenga tutti virtuosi dopo svariati decenni di ogni sorta di vizio sociale…Ci vorranno, ci vorrebbero, due generazioni, trenta anni filati di buon governo e buoni cittadini per avere case ed edifici ovunque che non crollano in testa a chi c’è dentro. Trenta anni, alzino la mano gli italiani disposti a spendere oggi per avere tra trenta anni, alzino la mano politici, partiti, sindacati, associazioni, governi pronti a programmare e investire per raccogliere tra trenta anni. La distesa di mani levate a tutto somiglia tranne che a fitta foresta.

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Published by
Mino Fuccillo