Per Sergio Marchionne l’auto è un optional

ROMA – “La coerenza è la virtù degli imbecilli”. L’affermazione di Giuseppe Prezzolini suona forse un po’ troppo perentoria ma ci fornisce uno strumento utile per cercare di comprendere le contradditorie strategie di Sergio Marchionne. Che imbecille certamente non è, almeno se giudicato con il metro dell’autore del “Codice della vita italiana”, visto che della incoerenza ha fatto il principio informatore della sua attività. Sconcertando le controparti, politiche, sindacali ed industriali, con una raffica di affermazioni che sembrano fatte apposta solo per essere immediatamente smentite. L’interlocutore, abbagliato e confuso, non fa in tempo a riprendersi che è fatto oggetto di altri fuochi di artificio.

Un paio di settimane fa Marchionne aveva messo in discussione il piano che prevedeva la costruzione di SUV a Mirafiori, da commercializzare in Europa e negli USA. E con ottimi argomenti: la forza del’euro sul dollaro che ne avrebbe minato la competitività oltreoceano e la crisi del mercato nord americano che avrebbe finito per penalizzare questo tipo di veicolo. Ma al salone dell’auto di Francoforte il clima era già cambiato. Il rapporto euro-dollaro? Accettabile. La crisi ? Nessun problema perché si tratta di vetture compatte destinate soprattutto al mercato europeo. La decisione finale continua però a slittare e l’esito sembra affidato al lancio di una moneta destinata a cadere di taglio per rimanere in precario equilibrio indefinitamente. Ed è proprio in questa immagine che si cela l’essenza della strategia di Marchionne.

Incomprensibile se valutata sul piano industriale, si pensi allo stato confusionale nel quale versano i componentisti, impossibilitati a programmare investimenti e linee di produzione, ma efficace, almeno nel breve periodo, per volgere a proprio favore la trattativa sindacale con il sindacato USA. Sospendere la decisione su Mirafiori vuol dire avere una arma in più da mettere in campo in un momento in cui, finito lo stato di emrgenza, l’idillio tra lavoratori americani e Marchionne, con i benefici fin qui ottenuti vengono messi in discussione. E un eventuale cedimendo di General Motors sui trattamenti salariali potrebbe mettere in grave difficoltà una Chrysler che, nonostante le ottimistiche dichiarazioni di Marchionne, è ancora a metà del guado in atesa di nuovi modelli sempre annunciati ma mai davvero lanciati sul mercato.

La produzione dei SUV inizialmente prevista a Mirafiori potrebbe così diventare una merce di scambio e i sorprendenti ripensamenti sembrano fatti apposta per mettere in guardia i sindacati americani. Ma con un accordo soddisfacente i SUV andranno a favorire l’occupazione negli stabilimenti nord americani di Chrysler. E Mirafiori, e Fabbrica Italia ? Solo un futuro al piccolo trotto. Perché la produzione degli stabilimenti italiani va ad alimentare essenzialmente il mercato europeo e qui le cose vanno male. Ad agosto le vendite in auropa sono salire dello 8% ma la casa del Lingotto ha perso altrettanto e così Fiat Group è scesa al 5.8% di quota ormai superata anche da marche premium come Audi, BMW e Mercedes. Se si toglie l’apporto del mercato italiano, siamo a percentuali marginali, destinate ad essere ulteriormente erose dalla crescita a due cifre di marche come le coreane Kia e Hyundai e dalla cronica mancanza di prodotto.

Alfa Romeo e Lancia possono contare su una gamma composta da due soli modelli. Una situazione ai limiti dell’assurdo se si pensa che oggi uno specialista come Ferrari dispone di una offerta decisamente più articolata. L’unica lista che si allunga è quella dei rinvii: dalla nuova Punto alla nuova Bravo, dai monovolume serbi ai Suv Alfa romeo, dalla Giulia alla Flavia. E se le novità sono quella di una Dodge trasformata in Fiat secondo la stessa tecnica che Di Risio ha adottato per italianizzare prodotti cinesi o una Chrysler mascherata da Thema le prospettive non sono entusiasmanti. Ma in questo campo il coraggio non manca a Sergio Marchionne. Lo testimonia la presentazione a Francoforte del prototipo della Maserati Kubang disegnato da Giugiaro nel lontano 2003. Sono passati molti anni … e si vede. La meccanica naturalmente è quella della Jeep, il motore un otto cilindri prodotto a Maranello ed i freni sono quelli del Ducato (per questo la Brembo ha preteso di togliere il suo marchio dalle pinze).

Tutto questo mentre il mercato da indicazioni chiare di come solo la novità sia in grado di difendere le quote. Come dimostra la Giulietta dell’Alfa Romeo che comincia però a denunciare cali perché ormai il prodotto per mantenere intatta la sua competitività deve essere sottoposto ad una evoluzionem continua. Il “classico” in altre parole non tira più. Colpa di Marchionne ? No di certo. La Fiat – dice- sconta l’immagine dell’Italia nel mondo. Bisogna far sapere a tutti che l’Italia non è la Grecia. Poco importa se sono anche i suoi comportamenti a contribuire a queste valutazioni. E se la miglior difesa è l’attacco si spiega anche l’aggressione di Marchionne nei confronti della piccola Up della Volkswagen: “una goffa copia della Panda”.

Ora se è vero che l’utilitaria tedesca non segna una pietra miliare del design è altrettanto vero che infrangere il galateo non scritto dei grandi costruttori può costare caro. Fiat ha pagato a breve giro di posta con un articolo sulla Die Welt che senza mezzi termini annuncia il fallimento della strategia di Sergio Marchionne. Che però continua imperterrito sulla sua strada. Il mercato non tira ? E noi rimandiamo i nuovi modelli. Come se fosse pobile accantonarli in un magazzino per tirarli fuori al momento opportuno. Strategia che lascia molti dubbi perché oggi l’invecchiamento del prodotto è istantaneo. L’operazione Maserati Kubang dimostra che il rischio non è solo di non riuscire a venderli ma di corpirsi di ridficolo. E quanto questo atteggiamento paghi lo dicono le cifre ed il confronto con gli altri costruttori. Quello che è certo è che curare l’inappetenza con un menù a base esclusivamente di minestrina in brodo e pollo bollito potrebbe portare alla morte per inedia del paziente.

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Warsamé Dini Casali