Marchionne perde in Borsa e sul mercato

ROMA – Nel mese di luglio, in Europa, la Audi ha venduto più auto della Fiat. Come è noto la prima è la marca premium del gruppo Volkswagen, la seconda una marca generalista che concentra la sua attenzione sulle utilitarie. Un risultato senza precedenti considerando il diverso valore unitario delle vetture prodotte ed il diverso margine di contribuzione. Che si riflette, naturalmente, sul piano dei ricavi.

C’è da credere che lo slogan con il quale è stata accompagnata la presentazione della Lancia Ypsilon a quattro porte: “il lusso è un diritto”, abbia si indicato una tendenza condivisa, per diverse ragioni, dai mercati maturi e da quelli emergenti ma anche proposto un obiettivo fuori dalla portata della casa del Lingotto. La strategia di Sergio Marchionne basata sulla trasformazione di una fabbrica di auto in una fabbrica di prodotti finanziari mostra così la corda in Borsa e sul mercato.

In Borsa perché è vero che spostando il confronto sul terreno della finanza anche i parametri su cui si fonda il giudizio degli analisti finisce per privilegiare un linguaggio che pone il prodotto in secondo piano e che considera gli investimenti in ricerca e sviluppo solo una spesa impoduttiva ma è altrettanto vero che giocare, sia pure sapientemente, sulla emotività generata da una sequenza di annunci volti ad alimentare una condizione di perenne attesa capace di rimandare all’infinito la verifica dei risultati, non fa che amplificare la delusione del mercato, anche al di la dei dati reali, nel momento in cui la situazione si fa insostenibile.

Un esempio. Il lancio della Fiat 500 negli Stati Uniti è stato comunicato dalla Fiat e ulteriormente amplificato dai media come una tappa epocale nella storia della casa. Bastava dare una occhiata alle vendite della Mini negli USA, alla tipologia della domanda ed ai costi di una vettura che per accedere a quel mercato era stata rivoltata come un calzino per capire he gli obiettivi raggiungibili non andavano oltre qualche beneficio di immagine.

Eppure all’annuncio della impossibilità di raggiungere il target previsto, 50.000 auto nel 2011, il titolo è crollato. Eppure dal punto di vista della pura convenienza economica c’è da pensare che sul piano dei costi la tiepida accoglienza riservata alla piccola del Lingotto costituisca più una occasione che una intollerabile perdita. Ed allo stesso modo il superamento da parte di Volkswagen della Fiat sul mercato brasiliano per qualche decina divetture e solo per un periodo limitato di tempo è stato interpretato dalla Borsa come una dichiarazione di resa.

Ma è il mercato a chidere il conto a Sergio Marchionne. Il superamento da parte di Audi non è che il frutto di una politica di prodotto che definire suicida è poco e che proprio questo evento costribuisce ad evidenziare. Perché se si confrontano i listini delle due marche, consultatibili su un qualunque giornale specializzato, l’elenco dei modelli della marca tedesca occupano più di otto pagine del listino di Quattroruote, la Fiat si accontenta della metà. E lo spazio si ridurrebbe ulteriormente se non fosse per il contributo di modelli commerciali come Qubo e Fiorino che nessun altro costruttore annette ai suoi listini.

Il risultato è una progressiva erosione delle quote di mercato soprattutto sul mercato europeo. Che, nei primi sete mesi del 2011, emette un giudizio impietoso sulla marca Fiat con una flessione di quasi il 20% che la confina ormai all’ottavo posto nella classifica dei costruttori. E non si tratta dell’effetto di una disafezione del pubblico verso i modelli della casa torinese, lo prova il sucesso, di vendite e di immagine della 500 e della Giulietta, ma di una inammissibile carenza di offerta.

E così non stupisce la definitiva uscita dei modelli Fiat, Lancia e Alfa Romeo dalla top ten delle auto più vendute in Europa. Con la Golf saldamente al primo posto. Innegabile successo di un prodotto che ha fatto storia sul piano della qualità e della affidabilità ma anche di una ecezionale articolazione della gamma prodotto basata su versioni berlina, stationw, multispazio, cabrio e tre porte. La Fiat risponde con la Bravo, un auto che non è mai entrata nel cuore dei consumatori, offerta in unica variante.

Sembra di essere tornati ai tempoi di Henri Ford e delmodello “T”: sceglietela di qualunque colore. Basta che sia nera. D’altra parte gli investimenti necessari per rinnovare la gamma prodotto sono stati dirottati sulla Chrysler all’inseguimento di un sogno americano che è costato caro a tutti quelli che lo hanno coltivato. Da Jacocca a Daimler. E non saranno certamente i modelli della casa americana a salvare la quota di Fiat sul mercato europeo. La sospensione del lancio della Flavia, un marchio Lancia issato a forza sulla calandra di una modesta Crhysler Sebring sembra significare una tardiva presa di coscienza del problema.

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Alberto Francavilla