Anche un genio come Berlusconi sbaglia e ne paga le conseguenze: ora con Fini, come fu con Caracciolo e Murdoch

Berlusconi vs Fini in diretta tv

Anche i geni hanno un loro lato oscuro. Michelangelo aveva l’ossessione del denaro, al punto di comprarsi una casa con i soldi che papa Giulio II gli aveva dato per il marmo per la tomba. Per fortuna, vien da dire, perché il Padreterno ha dato un po’ a tutti in modo che la perfezione andassimo a cercarla nell’aldilà, mettendo, in ciascuno di noi, i germi del bene e del male, della grandezza e dell’infamia: cambiano le dosi della miscela e questo spiega le differenze tra noi.

Berlusconi, che lo si ami o che lo si detesti, appartiene alla categoria dei geni, ma non sfugge alla regola e perciò non ha potuto evitare clamorosi errori di valutazione rispetto a personaggi che gli hanno poi reso la vita molto più complicata. Ne ho in mente tre: Carlo Caracciolo, Rupert Murdoch e ora Gianfranco Fini.

Per Berlusconi Caracciolo non era da prendere sul serio, era un editore nemmeno degno dell’unghia dell’unico grande vero editore del secolo cioè lui medesimo; il risultato fu la sconfitta di Berlusconi nel suo tentativo di impadronirsi di Repubblica e cosa ancor più grave la delegittimazione di Berlusconi e la fine del suo rapporto tutto sommato amichevole con la sinistra, con tutto quel che gliene è derivato in questi vent’anni.

Murdoch era per Berlusconi semplicemente uno straniero, un fesso da far su, un po’ come succedeva ai milanesi in Liguria nel dopoguerra. L’Australia era davvero l’altra faccia della luna, per la cultura padano centrica di uno che forse gli stranieri li aveva solo visti ubriachi e ridanciani sulle navi da crociera. Convinto di avere a che fare con uno pronto a comprare il Colosseo, Berlusconi lo coinvolse in quella penosa sceneggiata del “vendo Mediaset a Murdoch, no non la vendere resti italiana te lo chiedono D’Alema e la Melandri“; il risultato è che Murdoch è entrato in Telepiù, l’ha trasformata in Sky e oggi rappresenta la più seria minaccia allo stesso futuro di Mediaset, l’asse attorno al quale ruota tutto il sistema di pensiero e di azione anche politica di Berlusconi.

Adesso è il momento di Fini. Berlusconi lo ha probabilmente pesato e valutato molto poco, tutto preso dalla passione di fare immersioni tuffandosi da barche costose, da turbini sentimentali che i tiranni, anche i più peccatori, non perdonano ai loro sudditi, distratto al punto da lasciare che Berlusconi dirottasse su di sé la lealtà della maggioranza dei vecchi militanti dell’ex partito neofascista. Poi gli ha sfilato il partito, facendolo confluire nel nuovo Pdl.

Probabilmente Berlusconi pensava che Fini, se ne stesse tutto contento dei benefits che la presidenza della Camera gli portava, alcuni sanciti dalla legge, altri, come gli affari della famiglia della convivente, dalla consuetudine politica. Forse sperava anche che Fini gli portasse gratitudine, per avere trasformato un ex camerata in uno statista, per avere fatto uscire gli ex fascisti, Fini compreso, dalle “fogne” in cui li aveva relegati mezzo secolo di politica in era repubblicana e averli immessi nel cuore del sistema. In fondo Berlusconi pensava di essersi comprato Fini, la sua gratitudine esterna, la sua acquiescenza a ogni suo disegno.

Invece Fini non ha rispettato il ruolo assegnatogli da Berlusconi, il quale è ormai convinto di essere non solo protagonista della vita politica italiana ma anche regista e autore del copione. Così ora sta facendo passare un brutto quarto d’ora a Berlusconi, che lo ha anche aiutato con una serie di madornali errori come quello di essersi infilato nel vicolo cieco della legge sulle intercettazioni: gli era stata lasciata in eredità da Prodi, già approvata dalla Camera e lui invece ci ha voluto (dovuto?) inserire delle norme talmente favorevoli ai criminali che hanno spostato nel campo avverso milioni di italiani cui poco importa dei giornalisti e dei giornali che non leggono più ma importa invece molto della propria sicurezza.

Nella reazione di Fini c’è un po’ di tutto: il calcolo politico, che gli ha permesso di fare l’ultima tappa del traghettamento, personale se non di partito, dal post fascismo al salotto buono; il fastidio per l’atteggiamento di Berlusconi nei suoi confronti del tipo bravo bravo hai fatto il tuo dovere adesso ragazzino lasciaci lavorare; un po’ di invidia, per il successo di questo personaggio sempre in piedi e amato, nonostante tutti gli scandali, da metà degli italiani.

Berlusconi è infatti un soggetto che divide molto, c’è chi lo ama alla follia e chi lo odia altrettanto follemente. C’è chi invidia i suoi successi, chi non riesce a capacitarsi che sia ancora in piedi, chi non sopporta i suoi modi di fare da venditore di pubblicità, chi deplora l’immoralità della sua vita, chi non dimentica qualche fregatura e chi invece ne esalta la lealtà. C’è chi ne approva qualsiasi atto con fede cieca e chi guarda con preoccupazione la deriva mussoliniana del suo atteggiamento e quella staliniana del suo comportamento.

Da quando Berlusconi è entrato in politica, è apparso sempre più evidente che la sua ossessione per il comunismo non è solo una trovata elettorale di sicura presa, ma è qualcosa di più. C’è un illustre confronto che sembra calzare, quello con Lee Kuan Yew, il padre della Singapore tigre dell’Asia, che, dicono i biografi, era così maniacalmente terrorizzato dai comunisti da adottarne metodi e sistemi e diventare in tutto e per tutto come loro.

Un po’ è paranoia, un po’ è lucida coerente azione. Un esempio è il sistema elettorale in vigore, da lui introdotto capovolgendo la riforma introdotta negli anni ’90 sull’onda travolgente dei referendum. Niente più parlamentari scelti dal basso, legati al terriotiro, ai loro collegi, ma candidati rigorosamente indicati dai vertici dei partiti, da Roma (o da Varese per la Lega).

Questa chiave aiuta a capire l’elaborazione del teorema: io sono eletto dal popolo – sono l’unico legittimato dal popolo – tutti gli altri non sono eletti dal popolo – tutte le istituzioni derivano la loro legittimità da me. C’è molta forzatura, perché una cosa sono i sondaggi di simpatia e gradimento un’altra cosa sono i voti che dicono tutt’altro. C’è molta tendenza alla tirannide che spesso si manifesta in età avanzata nei potenti. C’è anche la consuetudine a essere obbedito senza discutere derivata a Berlusconi dall’essere padre fondatore padrone di un colosso televisivo che deve tutto a lui; a prescindere dai dubbi su chi lo abbia finanziato, chi siano i suoi azionisti, i metodi spregiudicati talvolta adottati, comunque Berlusconi ha trionfato là dove altri hanno fallito o sono fuggiti.

Aiuta anche a capire la sconnessa reazione di Berlusconi allo stillicidio cui lo ha sottoposto Fini. Ai tempi di Stalin i gerarchi andavano davanti al plotone di esecuzione accettando il proprio destino convinti che fosse giusto perché era stato il partito ad assegnarglielo. Nella visione un po’ da Re Sole che Berlusconi ha di se stesso il partito “c’est moi”, e ogni sua volontà è quella del partito, quindi… Valentino Parlato, ex direttore del Manifesto, espulso nel 1969 con altri reprobi dal Pci per devianza ideologica, paragona il processo che precedette la sua condanna alla sentenza contro Fini. I distinguo che Parlato fa rafforzano in realtà il paragone: là, come ricorda Parlato, c’era un partito organizzato, qui c ‘è un monarca assoluto, ma il risultato è lo stesso.

Ora la partita è aperta anche se dovessi scommettere punterei sul fatto che Berlusconi se la caverà ancora. Un conto è costituirsi in gruppo parlamentare, può anche permettere di trattare la pace da posizioni di forza, sempre ricordando che Berlusconi non vuole sconfiggere l’avversario in battaglia ma comprarlo o raggiralo dietro una tenda. Un altro conto è fare cadere il governo, come sarebbe possibile forse votando la sfiducia sul sottosegretario Giacomo Caliendo, prendendosi la responsabilità e il rischio di elezioni anticipate.

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Marco Benedetto