Come siamo caduti in basso, come siamo tornati indietro. Nel mondo ci identificano con mafia, pizza e scooter, parola di Apple. Qui da noi un alto esponente della Chiesa, il cardinal Bagnasco, pontifica e redarguisce come fossimo al catechismo.
Contro Apple si è levata qualche voce isolata. Contro il cardinale, nessuno si è ribellato, nessuno si è indignato. Anzi, le agenzie di stampa hanno diffuso tempestive i precipitosi plausi con genuflessione incorporata da parte di vari politici dei due schieramenti, con l’eccezione di una replica, dignitosa e ironica, di Roberto Calderoli della Lega.
E gli altri? Siamo ormai, collettivamente, come il messicano della vignetta, che allontana dal sombrero con un gesto annoiato la mosca che turba la sua siesta. Ormai la nostra siesta è continua, abbiamo paura di svegliarci e affrontare la realtà di un primo ministro che si dice perseguitato perché qualcuno ancora insiste a volerlo processare per qualcosa che ha compiuto: niente di straordinario, è un diritto che nessuno nega, a Porto Azzurro ce ne sono molti che dicono le stesse cose.
Svegliarci e renderci conto che al terzo posto in linea di successione al vertice dello Stato c’è uno che, mentre dirige l’orchestra di chi dovrebbe fare le leggi, si fa, secondo la sua stessa ammissione, attirare da un giovanotto della cui sorella è convivente in una storia poco chiara con società off-shore che per uno come lui dovrebbe essere anatema; uno che, mentre si atteggia a possibile alternativa di primo ministro, si macchia di una delle colpe più infamanti per un capo: scarica la responsabilità su un vecchio militante e questo non per alcuna ragione di Stato, ma per evitare che gli schizzi dei traffici del suddetto parente lo raggiungano.
Svegliarci e scoprire che la Costituzione è a interpretazione variabile, nella dottrina della seconda carica dello Stato, che orienta le condizioni di scioglimento delle Camere quasi seguisse le veline (non di Striscia ma di Pavolini) del Capo supremo.
Svegliarci e scoprire che il ministro del Turismo non è un sogno di quelli che piacevolmente turbano le notti adolescenziali, ma un contributo alla derisione internazionale. Mentre stavo per cominciare questo sfogo, senza lacrime ma con tanto veleno, avevo mandato una e mail a un amico che vive all’estero da molti anni. La sua risposta è stata per me il colpo di grazia: “Basta il sito della Brambilla, quello che sembra l’Inturist sovietico anni ’70 per gusto e stile e che traduce pagine sconnesse in italiano in maccheroniche lingue straniere, per sputtanarci”. Non basta per farci scuotere dal nostro torpido rifiuto di risveglio lo scatto di una giovane deputata modenese del Pd (il settimanale tedesco Spiegel l’ha definita l’antivelina), che ha subito scritto al ministro dell’Interno: “Apple fa male all’Italia”.
(A onore del vero, il giorno dopo il ministro Brambilla ha annunciato di avere dato mandato all’Avvocatura di Stato perché chieda i danni alla Apple. Speriamo non si tratti del solito annuncio senza ulteriore seguito. La Apple avrebbe comunque buon gioco nella difesa, mandando ai giudici una cassa di libri e di film, che, Saviano in testa, dipingono l’Italia come un paese a regime mafioso, che volete da noi che stiamo in California e di mafiosi ne abbiamo tanti anche noi?)
Svegliarci e sentire che un leader dei più importanti, quello sì un vero capo, fondatore luce e guida di un partito in continua crescita di simpatie e consensi, perde il controllo della parola e trasforma l’acronimo di Roma in un insulto, come si faceva alle medie.