Se però andiamo a cercare cosa ha scatenato la schiumante rabbia di Fini ecco che cominciamo a trovare un cesarismo che per nostra fortuna non ha generato un dittatore se non negli atteggiamenti dentro e fuori il Pdl. Se guardiamo il film dalla fusione Fi-An a oggi è evidente l’impazienza, al limite del fastidio, con cui Berlusconi tratta Fini: proprio come, dopo che hai firmato il contratto, un venditore si allontana frettoloso da te, il sorriso smagliante si trasforma in ghigno, dagli occhi evapora la luce ammaliante e subentra un duro riflesso.
Ma l’opposizione di Fini è stata un fenomeno dell’ultima ora, per usare un termine in voga ai tempi di Mussolini. La causa principale della inazione di Berlusconi è però nel fatto che l’intera attività legislativa è stata imperniata sui problemi parte personali parte aziendali di Berlusconi nei confronti dei pubblici ministeri, dei giudici e dei giornalisti. In realtà il distinguo è una astrazione, perché nel corpo mistico della sua divinità Berlusconi non distingue le singole parti. In principio era Lui, poi venne la Tv, poi vennero i Comunisti che gliela volevano portare via. In questa visione da Genesi, riscritta da un Giovanni in doppiopetto blu e cravatta a pallini, l’ingresso in politica di Berlusconi è un atto di necessità, è il Supremo che surroga i vari angeli e arcangeli (i politici di cui si è servito da sempre e non solo Craxi) nella lotta contro il Male Comunista.
Se questa è la chiave per interpretare la politica di Berlusconi, il passo logico successivo è stato fare ruotare intorno a se stesso, trasformato in vittima, ogni atto significativo. Prendiamo il caso della Giustizia. Non è stata affrontata come una riforma necessaria all’interesse di tutti gli italiani, ma come un castigo divino da imporre ai diavoli ribelli. Il risultato è tragico, la riforma non ci sarà, contribuendo a perpetuare così il paradosso italiano delle lunghe carcerazioni dei presunti innocenti e delle inesistenti pene per i conclamati colpevoli.
Lo stesso silviocentrismo ha trasformato in un vano sforzo rabbioso anche il tentativo di imporre un “bavaglio” alla stampa. Qui più che altrove cade il mito di Berlusconi che outsmart sempre tutti. Outsmart è una espressione molto efficace per rappresentare uno come Berlusconi, che, si sarebbe detto una volta, ne sa una più del diavolo e anticipa sempre gli avversari, superandoli non solo in astuzia, ma anche in brillantezza, outsmart, appunto.
Invece Berlusconi è riuscito a impantanare in una lotta per la democrazia quello che era in sostanza, per una parte, un inasprimento di sanzioni che sono nei codici italiani da sempre, anche se mai applicate per la loro inefficacia e erano già a metà strada di un percorso parlamentare avviato dal precedente governo di sinistra. Per una parte, è a che vero, la nuova legge portava a un imbavagliamento non tanto dei giornali quanto della autorità giudiziaria e su questo si possono fare i peggiori pensieri. Ma, anche in questo caso, all’origine del fallimento c’è l’eccesso di protagonismo, il rifiuto di dovere dividere con l’avversario un qualunque merito, anzi anche un biasimo.
Il massimo del peggio lo ha dato sullo scenario internazionale, trasformandosi in “figure of fun”, personaggio da barzelletta. Anche in questo caso probabilmente ha giocato il senso di invincibilità che certamente verrebbe a tutti noi se avessimo inanellato tanti successi professionali, ci fossimo risollevati dall’abisso (ai tempi di Gardini, che invece ci sprofondò in eterno), fossimo diventati dal nulla primo ministro all’età in cui i più passano a coltivare l’orto.
