Crisi in Europa, sinistra con i nervi saldi e Berlusconi: distrazione o maturità?

Non tira una bell’aria in giro per l’Europa. Quasi tutti i paesi hanno esagerato nella spesa pubblica e ora devono rientrare nei ranghi. Fa eccezione la Germania, che invece spinge per la linea dura. I tedeschi hanno scoperto sulla pelle della loro storia che Hitler e il nazismo sono stati figli di genitori come economia disastrata, spesa pubblica fuori controllo, inflazione alle stelle. Per questo spingono per una linea dura, anzi durissima.

Avevano lo stesso terrore anche negli anni ’50, ai tempi di Ludwig Ehrard e Konrad Adenauer, quando furono capaci di sviluppare quell’economia sociale di mercato che ha contribuito a rifare della Germania la prima forza economica europea, a renderla capace di affrontare le crisi cicliche meglio degli altri e a farla prima in classifica nella ripresa.

Poi viene l’Italia, che non ha avuto la stessa capacità di governare il conflitto (una analisi delle cause non sarebbe molto correct, porterebbe lontano e servirebbe a poco) , è rimasta con un piccolissimo manipolo di grosse aziende a raggio d’azione mondiale, ma ha un sistema di tutela per una parte dei lavoratori che ha consentito al sistema di reggere meglio di altri alla crisi. In questo ha ragione Berlusconi, anche se ha torto nell’attribuirsene il merito, che invece va alla tanto infamata e diffamata prima Repubblica, che ci ha traghettato da semi miserabili al benessere di cui neppure ci capacitiamo.

Intanto, gli inglesi annaspano, la Francia si prepara a lacrime e sangue, le periferie come Grecia, Portogallo e soprattutto Irlanda e Spagna,  sono ora alla resa dei conti dei loro boom necessari quanto fasulli.

Avevano tutti le loro buone ragioni a pomparsi di anabolizzanti economici: il pericolo comunista, la discontinuità dal franchismo e dal salazarismo, il terrorismo di fede e di classe al confine. Così dei paesi quasi straccioni si sono trasformati in tigri quasi asiatiche, senza però la capacità repressiva delle dittature asiatiche. Ci sono riusciti firmando cambiali, riempiendosi di steroidi, scommettendo sulla fine dei cicli e l’eternità della crescita.

Oggi devono rientrare, le cambiali sono state scontate, le banche hanno passato le carte a spietati escussori. Non ce ne è uno che si salvi. La Francia, tanto per parlare di quelli che vogliono giocarsela alla pari con i tedeschi, deve più che dimezzare, da oggi al 2013, un deficit pari al 7% del pil, e poi giù la Spagna, l’Irlanda e tutti gli altri. Al povero Zapatero, che se sentiva Napoleone della sinistra, è mancato il terreno sotto i piedi e i lavoratori che lo hanno votato sono furiosi quanto sono confusi coloro che in Italia lo hanno divinizzato.

Meglio è andata ai laburisti inglesi, che hanno perso le elezioni, così la patata bollente è caduta in mano ai conservatori. Se i laburisti avessero ancora vinto alle ultime elezioni, nessuno in Inghilterra dubita che sarebbero stati proprio loro costretti (e la moderazione di Ed Miliband in questi giorni affonda in una specie di comprensione per gli avversari) a disfare la costruzione di Tony Blair, di un milione di posti di lavoro, veri quanto irreali sono stati quelli promessi a ogni elezione da Silvio Berlusconi, ma inutili, finalizzati solo a dare un lavoro fisso e garantito a quei giovani inglesi che non amavano i rischi della new economy. Vero è che questa è l’unica strada percorribile per soddisfare le aspirazioni di tanti giovani, senza lavoro o precari, e Blair è stato più veloce dei nostri. mentre per i nostri, destra e sinistra ritmicamente alternati, ormai il tempo massimo è scaduto.

Abbastanza naturale che siano partite le proteste. Per la prima volta c’è stato uno sciopero europeo, un corteo europeo, una protesta continentale.

Gran vociare, corte, violenze. In Grecia è dall’estate che sono in tumulto. La Spagna è solo all’inizio. Seguiranno gli altri. E l’Italia?

L’Italia gira intorno al problema, ma prima o poi la botta ci arriverà. Il ghigno del finlandese Olli Rehn fa gelare il sangue: nessuna preoccupazione per l’Italia, ha detto, se sarà in grado di “ridurre rapidamente il deficit e il debito pubblico”.

Sembra quell’odiosa professoressa che ci diceva: andrà tutto bene, basta che tu studi, fai tutti i compiti e prendi tutte almeno sufficienze.

I finlandesi, si sa sono gente dura, vivono oltre il circolo polare, hanno avuto i russi al confine per secoli, hanno Babbo Natale ma non il sole e anche per questo ci disprezzano. Ma appare chiaro che dietro Rehn ci sia la mano dei tedeschi.

Finora con l’Italia non ci sono andati pesanti, però le vecchie storie dei punti di deficit spariti sotto il tappeto dei derivati all’epoca dell’euro sono emerse a più riprese. Pochi ne hanno parlato, ma nei mesi scorsi il gioco sui derivati dei nostri debiti si è fatto pesante. Berlusconi non ha detto una bugia quando ha fatto riferimento ai rischi degli scorsi mesi, legati all’instabilità di governo.

A Bruxelles sanno che l’Italia non è la Grecia, ma anche a Roma sono tutti consapevoli che non si deve scherzare.

Abituati a deprimerci, a parlare male di noi stessi, a propalare nel mondo i nostri mali compiacendoci quasi del disprezzo altrui, questa volta dovremmo invece dire bene di come stanno agendo le forze politiche e sindacali. Con tutti i vincoli e i condizionamenti dei ruoli e delle pulsioni di base (pensiamo ai tormenti della Cgil), partiti e sindacati della sinistra mettono in atto un comportamento che una volta si sarebbe detto responsabile. Fa riscontro un atteggiamento della destra che non scarica sul passato il dramma presente, ma si fa carico dei problemi, magari minimizzandoli, ma questo è interesse di tutti.

Collusione complessiva o tutela dell’interesse comune, forse un po’ di tutto. Ma resta il fatto che i sindacati potevano montare dimostrazioni, cortei, scioperi generali. I partiti dell’opposizione potevano calcare la mano ben più di quanto abbiano fatto nell’ultimo anno e mezzo sui disastri di questo Governo, disastri di immagine, di comportamento e di sostanza.

Cosa accadrà adesso, vien da chiedersi. Difficile dirlo, probabilmente anche per lo stesso ministro dell’Economia o per i suoi esperti. Quasi certamente, la ripresa, che è in atto, non consentirà all’industria privata di assorbire, con lavori che presentino i requisiti di sicurezza e garanzia richiesti dagli italiani, i milioni di disoccupati e precari. Quasi certamente, il gettito fiscale non crescerà in misura tale da consentire alle varie amministrazioni pubbliche di assorbirli: c’è da sperare che sia sufficiente a pagare i debiti.

Affrontare una situazione del genere con un per quanto relativo controllo dei nervi è banalmente meglio di farlo nella confusione e nel caos, con la tensione sociale fuori controllo.

Forse è solo un’illusione ottica, forse agiscono così solo perché non si sono resi conto del potenziale propagandistico delle rispettive difficoltà. Però non voglio dare retta al mio diavoletto che dice che sono solo tutti complici. Vorrei sognare che il nostro sistema, al di là delle beghe un po’ ipocrite e un po’ personalistiche ha raggiunto un livello di maturità che fa prevalere l’interesse comune.

Tempi duri ci aspettano. Bisogna esserne consapevoli, meglio esserne consapevoli. Con i nervi sotto controllo.

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Marco Benedetto