Nel dare e avere di Ghidella ci sono grandi successi, come la Uno, e errori, come la fuga dal mercato spagnolo con l’abbandono della Seat ai tedeschi della Volkswagen (ma, secondo Ghidella, Fiat non aveva le risorse per finanziare Italia e Spagna nello stesso tempo), ma il suo merito principale, molto poco riconosciuto, fu quello della lotta al terrorismo, della rimessa in ordine della fabbrica, dell’adeguamento dei costi ai ricavi dal cui effetto favorì la successiva espansione della Fiat nella finanza, nella chimica, nei giornali.
Di Ghidella e soprattutto del capo del personale di Fiat auto Carlo Callieri fu l’operazione sui 61, di Ghidella fu il piano che, passando per la minaccia dei licenziamenti e l’occupazione di Mirafiori, portò al riequilibrio dei costi di produzione. Di Ghidella, e di Callieri, fu la tenacia con cui l’obiettivo fu perseguito, a testa bassa, fra dubbi e tormenti, e a dispetto del ministro del lavoro, il democristiano Franco Foschi, della corrente di Carlo Donat Cattin, il cui atteggiamento verso Fiat e Agnelli a definirlo ostilità si minimizza con un eufemismo. In seguito si scoprì che Foschi era iscritto alla loggia P2.
Tra il primo episodio, quello dei 61, 1979, e l’atto finale, dei 40 mila, c’è l’intervallo di un anno esatto, abbastanza perché si consumasse anche il dramma di palazzo, nell’estate del 1980, con l’estromissione di Umberto Agnelli. Alla ripresa di settembre Romiti era solo al comando operativo.
In quell’autunno 1980 ci furono anche momenti di tensione, al vertice Fiat, tra Romiti e Ghidella, tra Callieri e Cesare Annibaldi, che, in quanto capo delle relazioni industriali del gruppo Fiat, aveva la responsabilità complessiva della trattativa sindacale. Ognuno dei quattro portò nella vicenda il proprio carattere e la responsabilità del suo ruolo.
Romiti aveva la responsabilità complessiva della Fiat, di cui l’auto era la parte più importante, ma una parte. Nessuno a corso Marconi, quartier generale della Fiat all’epoca, conosceva il mondo romano meglio di Romiti, il quale sapeva bene che nessuno avrebbe mosso un dito per aiutare il gruppo a uscire dalla palude: si andava dall’atteggiamento di Foschi a quello di Cossiga, di meglio non c’era altro.
