Questa sfilza di ricordi anche un po’ personali può apparire un po’ noiosa e me ne asterrei se non fosse che vuole essere una affettuosa replica a una persona che stimo e che ha un certo ruolo nel paese. Non avevo ancora letto l’intervista di Fassino alla Stampa che è all’origine di questa rievocazione, quando mi ha chiamato di buon’ora un mio maestro di mestiere, Giampaolo Pansa, chiedendomi se ricordavo quei fatti. Altrimenti, avendolo già fatto di recente, non importunerei nessuno.
Ricordo però bene quel che Berlinguer disse la sera, in piazza San Carlo, al secondo comizio che tenne, davanti alla cittadinanza assortita. C’era tanta gente e c’ero anch’io, con alcuni amici, dal lato opposto del palco, davanti al caffé San Carlo, un po’ nascosto da una delle grandi colonne che reggono i portici della piazza. C’erano altoparlanti dappertutto e si sentiva benissimo.
Berlinguer disse più o meno queste parole: “Se voi occuperete [Mirafiori o la Fiat non ricordo] noi saremo con voi”. Ricordo bene che il mattino dopo ne parlai con i colleghi dell’Ufficio stampa, Alberto Nicolello e Simone Migliarino e altri, Fattori e Sodano, e convenimmo che era stato un grande errore per il Pci appiattirsi, come si dice oggi, sulle posizioni della federazione dei metalmeccanici. Certo che facemmo anche qualche telefonata in giro: è il lavoro di un ufficio stampa. Ma non si può certo parlare di poderosa macchina di propaganda. Meno che mai c’entrava l’Ansa, meno ancora il discorso di Mirafiori del mattino. Potrà essere stato un lavoro sciatto del redattore dell’Ansa di Torino che, citando Berlinguer, avrà omesso delle frasi, ma non credo.
Chi ha vissuto nei giornali in quegli anni ricorda che sull’informazione c’era un controllo ferreo, quasi da soviet e non da parte aziendale. L’idea che un poveretto dell’Ufficio stampa della Fiat desse ordine di modificare una notizia esagera la mia onnipotenza ma è fuori della realtà di quei tempi. Meglio avesse telefonato l’addetto stampa del demonio. Non solo all’Ansa, ma anche alla Stampa, giornale della Fiat, l’azienda madre era vista come il paradigma del male. La cronaca di Torino della Stampa era tutta anti Fiat. Il compianto Sergio Devecchi, cronista sindacale della Stampa, che aveva fatto comitato di redazione in anni in cui c’era la cultura del reparto zero, ma subiva l’anatema per essere socialdemocratico, parlava con me piegato sotto la sua scrivania nello stanzone della cronaca, per non farsi sentire dagli altri. Ricordo ancora la fatica, con una di quelle telefonate da agenti segreti, per fare uscire l’annuncio dell’incontro al Teatro Nuovo, al Valentino, da cui scaturì la marcia dei 40mila: una notizia a una colonna, seminascosta.
Questa della poderosa macchina da guerra, tutt’altro che gioiosa ma vincente, della propaganda Fiat è una idea molto cara a Fassino: l’ha sostenuta nella sua tesi di laurea qualche anno fa, in una intervista al magazine del Corriere della sera, a Porta a Porta con Bruno Vespa la sera che morì l’Avvocato Agnelli. Mi ha fatto guadagnare punti in famiglia, mi fa un po’ montare la testa, perché una citazione in Tv è una medaglia, ma semplicemente non è vero e Fassino non ricorda bene.