La gente pensa ai figli disoccupati e precari e non a Berlusconi? Una proposta per dare un lavoro a tutti, anche se Tremonti si opporrà

Ho avuto per la prima volta negli anni ’50 la nozione che ci fosse una sensibile divergenza tra le aspettative giustificate dal diploma o dalla laurea e la possibilità di trovare un lavoro adeguato.

Lo spazzino, si sfogò con mia madre, mentre trasferiva nel sacco di tela semimpermeabile beige stinto e tutto macchiato dal secchio davanti alla porta di casa la poca produzione di rifiuti di una famiglia in quegli anni difficili: “Ho il diploma di geometra e faccio lo spazzino”.

Mi restò impresso nella memoria di bambino e mi torna in mente ogni volta che sento parlare di disoccupazione giovanile, che credo sia uno dei tanti imbrogli, ma forse uno dei più grossi, che i politici, tutti assieme, e i giornalisti, per pura mancanza di spirito critico, hanno perpetrato ai danni degli italiani.

Si sente dire spesso in questi giorni, dal grande popolo che vota, che la maggior parte dei temi di politica alta che agitano, dividono e tormentano l‘Italia, intorno a Berlusconi e non solo lui, non sono di alcun interesse di fronte all’angoscia dei figli che non trovano lavoro.

Si va poi in giro per l’Italia, non solo nelle fabbriche o nei campi, ma nelle località turistiche delle nostre riviere, dal quasi germanico nord al più profondo sud e dappertutto si trovano stranieri, non a fare i muratori o gli operai, lavori indegni ormai per un italiano, ma a fare i camerieri, lavori che una volta erano considerati da elite per l’integrazione data dalle mance.

Mi dice un amico che senza polacchi e romeni la macchina organizzativa di Padre Pio non girerebbe e se è per questo non girerebbe nemmeno la struttura turistica della Puglia e di tutto il Meridione. Mi dice un altro che una ragazza, rigorosamente italiana, ha lasciato il lavoro, stagionale, al bar di uno stabilimento balneare perché “non ce la faceva più”, troppa fatica.

Devo dire che non c’è niente di male nel fatto che ciascuno di noi voglia costruire per i propri figli un futuro migliore del suo. Chi ha lasciato gli anni migliori in un lavoro faticoso, pagato poco, di poca soddisfazione, è giusto che abbia fatto studiare i propri figli, per fargli fare il salto di piano, il salto di classe.

In questo, peraltro, è l’essenza del sogno americano. I posti più importanti e meglio pagati negli Usa sono occupati da figli di muratori e sarte, lo stesso Obama impersona un altissimo esempio.

Lo stesso si può dire che è accaduto per i figli degli italiani emigrati in Germania a fare i muratori, i pizzaioli, gli operai, i cui figli sono impegnati a far carriera nelle aziende tedesche.

Alcune importanti differenze vanno sottolineate.

La prima è che nessuno ha detto a quegli emigranti e ai loro figli che far carriera è un diritto, che non fare più l’operaio o il meccanico o il macellaio e diventare invece impiegato, ovviamente di concetto, è qualcosa di garantito. Provateci, gli è stato detto, se lavorate tanto e siete bravi nessuno vi fermerà. Anche da loro i figli dei padri ricchi e potenti godono degli immancabili privilegi di cui godono da noi, quindi questa obiezione non vale.

La seconda che Stati Uniti e Germania sono i due più grandi mercati del mondo, sono i due cuori dell’economia del mondo, hanno la più grande forza industriale e quindi l’offerta di lavoro più ricca del mondo. Perciò sono in grado di assorbire nuove forze a tutti i livelli, quello operaio e quello impiegatizio contemporaneamente.

La terza è che il concetto di precarietà, che implica non solo l’incertezza del proprio futuro ma anche la sanzione del lavoro fatto bene e fatto male, è diffusa in tutto il mondo, certamente più in America che in Germania, ma da noi è stata proprio sradicata da generazioni di politici di tutti i colori, da almeno un secolo per quanto riguarda il settore pubblico.

Da noi la grande industria è già ridondante di posti impiegatizi, così come immensi serbatoi sono lo Stato, le Regioni, le Province (infatti tutti le biasimano ma nessuno le tocca), i Comuni, gli Enti di ogni genere e natura, le aziende pubbliche: anche se non costituiscono più importanti e benemeriti elementi di uno stato sociale che ha svuotato le pulsioni rivoluzionarie che tutti hanno ormai dimenticato ma che ancora non più di trent’anni fa laceravano l’Italia, attraverso anche forme estreme come il terrorismo.

Però tutto questo ora ci ha portato a una situazione paradossale: i giovani e i loro parenti si lamentano, giustamente, perché non trovano un lavoro adeguato agli studi fatti e alle aspettative di vita loro e delle famiglie; intanto milioni di stranieri trovano lavoro e lavoro onesto, quel lavoro che gli italiani si rifiutano di fare.

Vale poco dire che i nostri poveri ragazzi italiani non hanno ricevuto dalla scuola quella formazione che li avrebbe resi più competitivi sul mercato del lavoro. Non è colpa loro se la scuola non è stata all’altezza, siamo noi, attraverso quei politici cui abbiamo delegato il mestiere, e i funzionari che li hanno portati in giro o seguiti ossequiosamente in tutte le loro idee dissennate, a distruggerla, con una pervicacia che ha unito destra e sinistra inestricabilmente.

Ora che si fa?

Appare molto difficile mandare i nostri liceali, geometri, ragionieri, periti di qualche cosa a fare un lavoro. Tom Cruise, prima di fare l’attore, a quel che si legge sul sito del Corriere della Sera, faceva il cameriere, ma Hollywood è vicino a Malibu, non a Torvajanica.

Non resta che una strada. Che tutti prendano coscienza e lo dichiarino che le cose sono così: il lavoro c’è ma i nostri figli non lo vogliono, i posti garantiti per la via e tranquilli che vogliono non ci sono.

Dopo di che dovranno provvedere a delle riserve indiane destinate a dare lavoro ai diplomati e laureati italiani, che vivranno di stipendi pubblici finanziati dalle tasse che si spera prima o poi pagheranno anche gli stranieri tutti. A questi ultimi il compito di lavorare, come ora, però in un sistema onesto e preciso, come si usa dire oggi trasparente.

Un ritorno agli spartani, con i loro perieci, meteci e iloti, versione duemila.

Non è possibile? Incompatibile con i taglie delle varie finanziarie? Tremonti si opporrebbe? Cominciamo a pensarci, i tagli lasciano il dubbio che siano una mossa politica, di quelle che piacciono tanto ai banchieri internazionali, se uno rapporta 25 miliardi di euro con la cifra del debito pubblico italiano e anche con i bilancio dello Stato italiano e con il valore di quanto produce la nostra economia.

E poi prima o poi la ripresa arriverà e saremo attrezzati a dare una risposta corretta alle aspettative dei giovani.

Nel frattempo, smettete di piangervi e di piangerci addosso.

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