Fini, Tulliani, Montecarlo: che cocente delusione quel video

Che delusione Gianfranco Fini. Per qualche tempo avevo anche pensato che potesse essere un leader per l’Italia. Dopo il video sulla vicenda della casa di Montecarlo, a me risulta molto difficile pensarlo ancora. Immagino che per molti non sarà cambiato nulla, perché la fede prevale, perché l’odio per Berlusconi fa premio, perché in un paese come il nostro, basato sull’indulgenza plenaria quotidiana, tutto diventa relativo.

Certo, nell’Italia di Berlusconi, non ci sono limiti e oggi molti obiettano: ma cosa mi rappresenta un appartamento a Montecarlo, di pochi metri quadrati, di fronte a tutto quel che si dice e magari qualcosa si sa ha fatto Berlusconi? Perché Fini dovrebbe dimettersi? Di quali reati è accusato? Perché non si dimette prima Berlusconi, con tutti i crimini di cui è imputato?

Amaramente dobbiamo ammettere che sono passati i tempi quando Andreotti si dimise per un solo avviso di garanzia. Amaramente dobbiamo ammettere che siamo lontano anni luce da altri paesi, dove ministri si sono dimessi per un filmino in nota spese o spiccioli del genere.

In un discorso di quasi dieci minuti, apparendo molto imbarazzato, frastornato, Fini ha detto alcune cose che non mi pare avesse mai detto: che fu il cognato Giancarlo Tulliani a presentargli i compratori dell’alloggio, e che fu lui stesso Fini a autorizzare la vendita. Dopo di che rivendica: che reati ho commesso?

Che reati commise Clinton facendo un po’ di sesso orale alle altoids nel suo ufficio alla Casa Bianca? Eppure ci fu un tormentone che durò fino alla fine del mandato. E mai si permise di paragonare la stampa a un manganello, cosa che invece Fini ha fatto, forse perché di manganelli, almeno nelle aspirazioni e nei sogni di ritorno al futuro, uno come lui un po’ se ne intende.

Se Berlusconi è il paradigma del male, non vuol dire che chi non arriva a quegli eccelsi livelli debba andare impunito.

Il fatto che non ci siano reati non vuol dir nulla per un politico: c’è un livello a monte, che è rappresentato dalla correttezza, dal rispetto di norme etiche che vengono ben prima di quelle penali e anche di legge civile. Sono quelle norme, le più non scritte,  che ti fanno evitare di frequentare una persona perché non ti va: non ha fatto nulla di male, ma tant’è.

Quello che Fini non vuole capire è che lui non è uno di noi, lui oggi ricopre la terza carica dello Stato, domani potrebbe essere chiamato a guidare l’Italia, cioè tutti noi, e lui non deve essere solo trasparente, deve essere come il cristallo. Io posso fare fare un affare a mio cognato, lui no. Come faccio a mettere la mia vita nelle mani di uno che favorisce l’acquisto di un pezzetto di patrimonio del partito da parte di un parente? Che non si accorge, fino a quando scoppia il putiferio, che lo stesso cognato abita lì? Uno che fa parte della ristretta cerchia che guida oggi il paese e non conosce l’andamento del mercato immobiliare, uno dei propellenti della crisi attuale, uno degli indici fondamentali dell’economia?

Uno che fa dell’etica un suo tema di lotta, non può far vendere, a prezzo modesto assai, un bene del partito di cui è dominus assoluto. Non è eticamente lecito, anche se è legalmente lecito. Ha detto che la casa era “fatiscente”. Ma il termine si applica ai palazzi e vuole dire cadente, in rovina. A giudicare dalle foto, il palazzo dove si trova l’alloggio è bello solido e ben tenuto. Forse l’appartamento doveva essere ristrutturato, ma è un’altra cosa: quando sento usare parole in modo non appropriato mi insospettisco, anche perché a parlare non è un carrettiere ubriaco ma un uomo di stato che ci ha tenuti tutto il sabato appesi ai suoi ripetuti rinvii, probabilmente perché ha passato ore a preparare quel video e a limare parole e accenti.

L’autodifesa di Fini non è stata di quelle che passeranno alla storia. Ai miei occhi, ma non so di quanti altri, la sua immagine ha subito un duro colpo, per le cose che ha detto, non solo a propria difesa, ma anche per accusare il suo nemico mortale degli ultimi tempi, Berlusconi. Non lo ha mai nominato, ma le allusioni alle sue malefatte sono state esplicite e pesanti. Nulla da dire se lo faccio io, ma un uomo di Stato non può ,  sembra me quando mi ferma un vigile e io gli dico: ma guardi quell’altro, ha commesso un’infrazione peggiore. Non è da leader, è “cheap”, di basso livello.

E poi Fini non può accorgersi solo ora di chi è Berlusconi, dopo che per 15 anni gli è stato fedele alleato, sempre, senza l’ombra di un dubbio, di una esitazione. Si ricordi su tutte la legge Gasparri, la legge che ha sancito la sopravvivenza del duopolio a sei reti Rai – Mediaset e la fine di ogni speranza di riequilibrio del mercato pubblicitario a favore dei giornali, quei giornali che sono garanzia di pluralismo, molti dei quali, accecati da altri sentimenti, hanno fatto dello stesso Fini un improbabile eroe di libertà e democrazia.

C’è da dire a sostegno di Fini che l’altro giorno è stata data la notizia che  un’azienda di pubblicità, che fa parte dell’impero di Vincent Bolloré, azionista importante francese di Mediobanca, si è aggiudicata il budget pubblicitario di una banca del gruppo italiano. Nessuno ha fatto caso al conflitto di interessi, per certi aspetti anche più imbarazzante di Fini.

Ma il disagio resta, il fastidio resta. Quelli che sperano di usare Fini contro Berlusconi devono stare attenti a non ripetere l’errore che fecero gli americani, aiutando i talebani pur di combattere il comunismo. E sempre per combattere il comunismo, il padronato italiano aiutò e favorì il fascismo. Fini non è Mussolini, grazie al cielo, di questo possiamo stare certi. Ma basta a pensare che uno così riscatterà l’Italia dallo sprofondo berlusconiano?

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Marco Benedetto